Prima delle elezioni del novembre scorso, Donald Trump era stato molto “vocale” nei confronti della magistratura americana che lo aveva rinviato a giudizio per ben quattro volte in pochi mesi nel disperato (quanto poi vano) tentativo di frenarne la marcia vincente verso la Casa Bianca. Alcuni di quei “giudici anti-Trump” sono diventati autentiche star grazie ai media. È il caso del giudice della Corte Suprema dello Stato di New York, Juan Merchan, che ha sovrinteso al processo in cui Trump era accusato di aver pagato l’ex pornostar Stormy Daniels. O della procuratrice dello Stato di New York, Letitia James, alla guida dell'accusa per frode mossa nei confronti del tycoon. O, ancora, della procuratrice distrettuale della Contea di Fulton, Fani Willis, che lo ha accusato di aver tentato di modificare l’esito del voto in Georgia durante le presidenziali del 2020.
Da quando si è insediato alla Casa Bianca, Trump ha smorzato i toni, ma con gli avversari politici fuori gioco, il ruolo degli anti-Trump è stato raccolto con entusiasmo dai giudici, che hanno messo lo zampino pressoché in ogni ambito in cui la nuova amministrazione abbia cercato di sterzare la politica americana. I magistrati hanno sospeso o annullato migliaia di licenziamenti ordinati dall’amministrazione per snellire la burocrazia federale ed eliminare enti sovradimensionati o giudicati improduttivi. Hanno impedito il congelamento di tre triliardi di dollari di finanziamenti federali agli Stati e a favore di enti e associazioni incaricati di promuovere le cosiddette pratiche di inclusione. Hanno emanato sospensive dell’ordine esecutivo con cui il presidente aveva fermato l’acquisizione della cittadinanza americana per diritto di nascita.
Ancora, hanno messo i bastoni tra le ruote al Dipartimento per l'efficienza del governo (Doge). Hanno dato seguito ai ricorsi contro le nuove politiche di genere adottate dal governo. Hanno accolto alcune delle iniziative di Stati e organizzazioni ambientaliste contro le politiche energetiche dell’amministrazione. Solo per citare i casi più noti. Ieri il New York Times ha fornito un dato che potrebbe avere dell’incredibile per chi non avesse seguito puntualmente la cronaca politica a stelle e strisce degli ultimi mesi. Il quotidiano newyorkese scrive che «a far data al 29 maggio, sono almeno 181 le decisioni della magistratura americana che hanno almeno temporaneamente bloccato o messo in stand-by le iniziative dell’amministrazione».
I due casi più recenti, quelli relativi al programma per gli studenti stranieri dell’università di Harvard e al sistema dei dazi sui beni importati negli Stati Uniti dall’estero, hanno suscitato un particolare clamore.
Nella vicenda che ha visto scontrarsi l'amministrazione e il celebre ateneo della Ivy League, Trump e i suoi se la sono dovuta vedere anche con la giudice federale del Massachusetts Allison Burroughs, che ha riconosciuto immediatamente ad Harvard la sospensione degli effetti del provvedimento voluto dall’amministrazione. La stessa Burroughs che nel 2017, poco dopo il primo insediamento di Trump alla Casa Bianca, “congelò” la no-entry list da lui formulata per impedire ai cittadini di alcuni Paesi di entrare negli Stati Uniti per qualsivoglia ragione.
Lo scontro sui dazi è stato ancora più rocambolesco, anche per gli effetti che ha avuto sull'andamento dei mercati finanziari. Tanto da far perdere le staffe al presidente, che su Truth Social si è sfogato definendo «incredibile» la sentenza con cui la US Court of International Trade ha bloccato «i dazi di cui abbiamo disperatamente bisogno» e chiedendosi «da dove vengono questi giudici» e «come è possibile che odino così tanto l’America da causarle un così grave danno».
La rilevanza di alcune dispute è stata tale da consentire all’amministrazione di portarle davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti, i cui nove giudici (a maggioranza repubblicana) hanno quasi sempre legiferato a favore del governo. Come è accaduto ieri, quando hanno autorizzato il Segretario per la Sicurezza interna Kristi Noem a revocare lo status legale temporaneo che Biden aveva concesso a 532mila immigrati provenienti da Cuba, Haiti, Venezuela e Nicaragua e che potranno ora essere espulsi.