Mentre si trascina la trattativa fra Stati Uniti e Iran sul nucleare, a dispetto dell'ottimismo del presidente Usa Donald Trump, arriva dall’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (Aiea) un nuovo aggiornamento sul rapido accrescimento della riserva iraniana di uranio arricchito al 60%, ultimo stadio prima del successivo 90%, soglia a cui l'uranio diventa, in gergo, “bombabile”, ossia utilizzabile per un'esplosione atomica.
Il rapporto divulgato ieri dall’Aiea specifica che, alla data del 17 maggio, l’uranio arricchito al 60% dall’Iran ha toccato 408 kg, ben 133 kg in più rispetto a soli tre mesi prima, in febbraio, quando il livello era a 275 kg. Contando che, secondo l’Aiea, servono circa 40 kg di tale uranio per una testata nucleare, significa che attualmente gli iraniani possono fabbricare 10 testate.
Il potenziale, quindi, cresce velocemente. E la quantità totale di uranio iraniano, arricchito a livelli più bassi, ma incrementabile in percentuale, è pure aumentata negli ultimi tre mesi, da 8.294 a 9.247 kg. Una riserva per ulteriori testate. L’arricchimento avviene grazie alle 25.000 centrifughe dei centri nucleari sotterranei di Fordow e Natanz, ma l’Aiea ha anche rivelato che «si sono svolte ricerche anche in altri tre siti tenuti segreti da Teheran». Nel suo rapporto, l'AIEA ha rilevato che «la cooperazione dell'Iran con l'agenzia è meno che soddisfacente, ma l'agenzia non è in grado di confermare se il programma nucleare iraniano sia pacifico». Poco prima, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi sentenziava che «anche per noi le armi nucleari sono inaccettabili» ma «l’arricchimento dell’uranio è un nostro diritto», intendendo per scopi civili.
Il governo di Teheran ha definito il rapporto AIEA «redatto per scopi politici e basato su informazioni fuorvianti». Sferzante è giunto il commento del premier israeliano Benjamin Netanyahu: «Il rapporto AIEA dimostra che l'Iran è determinato a dotarsi di armi nucleari». Ciò rafforzerà lo Stato ebraico nel tenersi pronto a un attacco aereo a sorpresa sulle basi nucleari iraniane, come già segnalato dall’intelligence americana. Israele non vuol perdere il monopolio nucleare sul Medio Oriente, dato che, con un arsenale di almeno 90 testate atomiche, lanciabili anche da sottomarini, è la sola potenza della regione dotata di tale deterrenza contro attacchi esterni di massa. Perciò la minaccia di un attacco israeliano rientra nell’equazione delle difficili trattative Iran-USA, finora inconcludenti in cinque round con sedi alternate fra Roma e l'Oman e un sesto atteso a giorni. Trump resta ottimista e il compromesso allo studio prevederebbe un «consorzio internazionale per arricchire l’uranio», fra AIEA, Iran e altre nazioni del Medio Oriente, fra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, in cambio di investimenti stranieri. Araghchi ha fatto sapere di aver già «ricevuto elementi di una proposta USA per un accordo».
Che Riad si senta tirata in causa lo dimostrerebbe il consiglio del ministro della Difesa saudita, Khalid bin Salman, all’Iran: «Trovate un accordo con gli americani per scongiurare una guerra». Non va dimenticato che i sauditi stessi hanno missili balistici a medio raggio e probabilmente sono comproprietari dell'atomica del Pakistan che essi hanno finanziato, quindi sono di fatto una potenza nucleare “dormiente”.
Che l'Iran abbia già deciso di costruire un arsenale nucleare operativo, comunque, non è ancora certo. È necessario anche progettare testate compatte e imbarcabili su missili balistici o, alla peggio, sganciabili da aerei o droni. Questa parte del lavoro spetta ai centri missilistici come quello di Parchin, gestiti dalla milizia pasdaran, i “pretoriani” del regime sciita. E, dati i progressi registrati negli ultimi anni dalla missilistica iraniana, anche coi vettori ipersonici “collaudati” in condizioni reali dagli yemeniti Huthi, non è escluso che prototipi di testate manovrabili in grado di contenere ordigni atomici siano in fase più avanzata del previsto.