A poco meno di ventiquattr’ore da quando centinaia di droni ucraini hanno tessuto una ragnatela ferale per 41 cacciabombardieri russi, le delegazioni dei due stati si sono sedute a un tavolo a Palazzo Ciragan, un hotel a cinque stelle sulla sponda europea del Bosforo. Il secondo round di colloqui, mediati da Turchia e Stati Uniti, mentre in patria Vladimir Putin ha anticipato di un giorno la settimanale riunione del Consiglio di sicurezza, poteva cominciare male e finire peggio. E invece, pur con il ticchettio di una rappresaglia russa a fare da sottofondo, l’incontro è andato come si poteva prevedere: è cominciato senza strette di mano e non sono stati raggiunti grandi progressi, «solo i piccoli passi che ci aspettavamo», ha detto un alto funzionario ucraino.
Un successo, invece, secondo il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan: «È stato un incontro eccellente. Il mio più grande desiderio è riunire Putin e Zelensky a Istanbul o Ankara. Mi piacerebbe anche coinvolgere Trump» (ma ai turchi piacerebbe soprattutto una ripresa degli accordi sull’export del grano dal Mar Nero che, almeno per un anno, dal luglio 2022 al luglio 2023, avevano retto). Certamente, il risultato è molto distante dalle richieste di Kiev: «Primo: un cessate il fuoco completo e incondizionato. Secondo: il rilascio dei prigionieri. Terzo: il ritorno dei bambini rapiti», aveva anticipato Zelenksy domenica sera, ribadendo la sua richiesta di colloqui diretti con Putin. Dopo un’oretta e mezza di trattative in lingua russa, le due parti hanno concordato lo scambio di tutti i militari gravemente malati e quelli di età inferiore ai 25 anni: «Almeno mille persone per parte, forse anche di più», ha dichiarato il capo della delegazione russa, Vladimir Medinsky. Un altro accordo prevede lo scambio delle salme di 6mila soldati di entrambe le parti caduti dietro le linee nemiche. Una tregua? Gli ucraini hanno proposto 30 giorni di cessate il fuoco, i russi si sono fermati a due o tre giorni e soltanto in specifiche zone del fronte, così da consentire ai comandanti di recuperare i corpi dei soldati.
Gli ucraini hanno consegnato una lista con 339 nomi di bambini rapiti dagli aggressori: Medinsky avrebbe risposto loro di «non fare scenate per le zie europee dal cuore tenero che non hanno figli» (più diplomaticamente, ai giornalisti ha risposto che «non sono stati rubati bambini, sono stati salvati e portati lontano dalle zone di guerra»). Gli ucraini hanno proposto un nuovo incontro tra il 20 e il 30 giugno. I russi hanno consegnato il loro memorandum e le irrealistiche richieste sono invariate: sulle regioni parzialmente occupate (Donetsk, Lugansk, Zaporizhia e Kherson) dovrebbe sventolare la bandiera russa, nessuno stivale né intelligence stranieri dovrebbero difendere Kiev, cui sarebbe imposta la neutralità, le sanzioni dovrebbero cessare, compreso lo stop al transito del gas russo. Precondizione per un cessate il fuoco sarebbe la smobilitazione delle forze ucraine dalle aree che la Russia considera sue, ovvero le quattro regioni più la Crimea. Un accordo di pace finale potrebbe essere firmato solo dopo nuove elezioni a Kiev, da tenersi entro 100 giorni. Gli ucraini si sono riservati il tempo di rispondere. I russi stanno soltanto cercando di guadagnare tempo? Zelensky è tornato a chiedere «misure forti» a Donald Trump, sanzioni che spingano la Russia «a un cessate il fuoco completo». E la Casa Bianca ha comunicato la disponibilità del presidente a un incontro in Turchia con i due leader avversari. Intanto, l’estate è alle porte e Putin punta a conquistare il Donetsk, regione chiave e tra i desiderata di Putin fin dall’inizio della guerra, 1.195 giorni fa.