I nemici di Trump e pure i suoi amici, gli antipatizzanti tanto quanto i simpatizzanti possono tranquillamente togliersi dalla testa la sola idea che il Presidente americano arretri di un millimetro nella contesa con la California - ormai letteralmente rovente - sul tema della rivolte violente degli immigrati illegali. Trump non si fermerà, e anzi sarà sempre più duro, per cinque ottimi motivi. Primo: perché ha largamente ragione. Secondo: perché la battaglia su questo tema gli giova in termini di consenso. Terzo: perché questo terreno di discussione è in assoluto il più sfavorevole per i democratici. Quarto: perché Trump è stato stravotato a novembre scorso proprio in base alla sua linea rigorosa su sicurezza e immigrazione.
Quinto: perché, tatticamente, questa fiammeggiante contesa lo aiuta a oscurare i dossier che vanno meno bene (politica estera, provvedimenti economici, strascico della lite con Musk, il quale per inciso ieri ha compiuto un passo per rabbonire il Presidente, rammaricandosi dei propri tweet: per lo meno, si va dunque verso una saggia e reciproca tregua consensuale). Quanto ai democratici, siamo in presenza di uno spettacolare suicidio politico. Qual era il dossier più disastroso dell’Amministrazione Biden-Harris? Esattamente questo: immigrazione illegale e ordine pubblico. Ripartire da qui, e farlo su una linea estremista, appare una forma di masochismo elettorale. A onor del vero, i dem avrebbero un solo argomento “americano” (cioè potenzialmente comprensibile dagli elettori) da giocare: ovvero la difesa dell’autonomia di uno Stato (nella fattispecie, la California) dal rischio di intromissioni del governo federale. In teoria questo sarebbe un punto forte su cui battere in un paese orgogliosamente federale. Ma capite bene che brandire questo argomento per giustificare le rivolte violente di immigrati irregolari significa andare letteralmente contromano in autostrada.
E gli esponenti dem sembrano veramente guidatori ubriachi che corrono all’impazzata in direzione sbagliata. Non ditelo ai loro megafoni e celebranti italiani: ma quelli che i nostri media stanno scegliendo come campioni da sostenere si stanno sparando da soli sui piedi. L’ufficio del governatore californiano Gavin Newsom (che punta a un ruolo nazionale da anti-Trump) ha paragonato le rivolte violente ai festeggiamenti successivi alle vittorie sportive della squadra di football di Philadelphia: quando gli Eagles vincono, effettivamente in Pennsylvania c’è casino, ma un accostamento con le rivolte urbane in corso in California è un’autentica assurdità. Roba da matti. La sindaca di Los Angeles Karen Bass – politicamente parlando – parla come una pazza scatenata: sui social, si definisce «sindaca di una orgogliosa città di migranti» e manifesta rabbia non per le rivolte, ma per l’arrivo delle forze federali, circostanza che – scrive – «semina terrore nelle nostre comunità e distrugge i principi fondamentali della sicurezza nelle nostre città». Gran finale: «Il mio ufficio è in stretto coordinamento con le organizzazioni per i diritti dei migranti». Mica con le forze dell’ordine federali.
A rincarare la dose, molti media simpatetici con i dem (incluso il New York Times) continuano a parlare di proteste “mostly peaceful”, cioè prevalentemente pacifiche: il che è un oltraggio all’intelligenza dei telespettatori, che vedono città messe a ferro e fuoco, auto bruciate, più di 150 arresti, ordigni di fuoco scagliati contro le forze dell’ordine. Al punto che perfino il Washington Post, l’altro giornale di riferimento dei progressisti americani, pur criticando Trump, ha ritenuto opportuno prendere almeno in parte le distanze da questo andazzo. In un editoriale di ieri firmato da David Ignatius, si legge testualmente che «i democratici hanno ignorato la questione delle frontiere: ecco qua le conseguenze». Siamo insomma - ma attenzione: in America tutto è sempre elevato a potenza - a una sorta di “deriva italiana”: più la sinistra è debole su un fronte, e più incredibilmente insiste. Più gli elettori (inclusi i loro) mostrano disagio su un tema, e più il messaggio viene assurdamente estremizzato e radicalizzato. C’è da ritenere che, se da qui a novembre 2026, data dalle elezioni parlamentari di mid-term, il dibattito si svolgerà su queste basi, sarà il modo migliore per Trump per inchiodare i dem alle loro difficoltà (e per celare le proprie).