I risultati e la portata dell’operazione israeliana nel cuore di Teheran la scorsa notte restano ancora avvolti nel mistero. Molte domande sono infatti ancora aperte: quanto duramente è stato colpito il regime degli ayatollah? Siamo più vicini alla sua caduta? E soprattutto, a quale tipo di risposta deve prepararsi Israele? «Innanzitutto, è importante comprendere il cambiamento strategico che Israele ha scelto di adottare», spiega Beni Sabti, massimo esperto di Iran in Israele presso l’Inss (Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale), fra i fondatori del portavoce dell’Idf in lingua persiana. «Israele ha scelto stavolta di colpire innanzitutto il nucleo di comando - i vertici del regime - e solo successivamente espandere gli attacchi a città, siti missilistici e infrastrutture nucleari. È l’opposto di ciò che ci aspettavamo di vedere». Secondo il ricercatore, Israele si era finora concentrata soprattutto su impianti nucleari e infrastrutture del regime, ignorando i livelli dirigenziali che ne gestiscono l’apparato.
«Negli ultimi mesi ho continuato a sottolinearlo: bisogna cominciare dall’alto, dalla leadership. Proprio come ha fatto Israele in Libano: l’eliminazione di Nasrallah è stato un momento cruciale. Senza di lui, Hezbollah è diventato un’entità priva di direzione», sottolinea, e ora che «Israele ha colpito i massimi dirigenti del regime iraniano», all’improvviso «non c’è più nessuno che banalmente prema i bottoni. Senza il livello dirigenziale, gli impianti non funzionano e i missili non vengono lanciati. Questa è la ragione per cui non abbiamo ancora visto una risposta iraniana contro Israele: banalmente non c’è nessuno che possa reagire». Nonostante l’euforia, la guerra contro l’Iran è appena cominciata e Israele non deve solo conservare lo storico risultato ottenuto, ma anche sfruttarlo appieno. «Israele deve ora coinvolgere gli Stati Uniti e tutto l’Occidente in questa operazione militare e diplomatica per impedire all’Iran di riprendersi, di rispondere all’attacco o di tornare alle sue attività nucleari e terroristiche», afferma con determinazione il ricercatore. «Abbiamo davanti un’occasione rara: Israele appare oggi forte in Medio Oriente proprio come lo era dopo la Guerra dei Sei Giorni. Con le giuste alleanze, il regime sarà definitivamente sconfitto».
Secondo Sabti siamo di fronte a una svolta storica che potrebbe ridefinire l’intero Medio Oriente. «A mio avviso, il regime è stato di fatto sostituito oggi», dichiara il ricercatore. «A livello pratico, oggi in Iran non esiste più il regime che conoscevamo fino a ieri. Non a caso si è parlato di dispiegamento massiccio di forze a Teheran: la popolazione ha visto, magari per un attimo, che le barriere della repressione sono state abbattute, e il leader ha temuto una rivoluzione. Anche quando il regime ha cercato di organizzare delle manifestazioni in suo sostegno, la partecipazione è stata molto scarsa. È un segnale chiaro di una crisi interna profonda e drammatica». Per Sabti, la caduta di quel regime sanguinario, non è più un’utopia, bensì una solita realtà. «Israele ha aiutato il popolo iraniano a risollevarsi e ora, se lo vorrà, in pochi giorni potrebbe rovesciare il regime», afferma.
Per quanto riguarda invece un’eventuale reazione iraniana, un solo scenario sembrerebbe a oggi plausibile. «Il regime reagirà senz'altro, ma credo che Israele sia pronta anche a questo», conclude Sabti con cauto ottimismo. «D’altronde, il regime non ha un’arma segreta a noi sconosciuta. Ciò che gli rimane è un pugno di missili balistici e di droni: nulla che possa minacciare l’esistenza dello Stato d’Israele».