«Il Grande Satana» incarnato negli Stati Uniti (e nell’Occidente in generale), nasce nel 1979 nell’Iran di Khomeini che gli contrappone l’energia rivoluzionaria del bene, delle virtù, dei valori dell’Islam che si spandono fino a cancellare la politica laica. Come intendano declinare tali valori, i rivoluzionari iraniani lo dimostrano assaltando il 4 novembre l’Ambasciata degli Usa e prendendo 52 diplomatici e dipendenti in ostaggio, trattenuti per 444 giorni, in spregio a ogni principio del diritto internazionale che l’Iran invoca adesso con virginea purezza dopo essere stato violato e umiliato dal pugno di ferro americano col bombardamento chirurgico. Il tentativo di liberare gli ostaggi dell’ambasciata con un raid fallì miseramente il 24 aprile 1980 e la reputazione della superpotenza precipitò ai minimi termini.
Da allora la teocrazia che ha trasformato l’Iran in una gabbia liberticida e ridotto paradossalmente un Paese straricco di petrolio in una situazione di crisi economica perenne, non ha lesinato di spargere soldi, aiuti e tecnologie per addestrare, armare, attivare cellule terroristiche in mezzo mondo, giurando e promettendo sfracelli presenti e venturi contro chiunque si opponga a Teheran e pure al sogno finora proibito di cancellare Israele dalla faccia della terra. Metodi più cinici e spregiudicati di quelli applicati in casa contro i dissidenti in particolare e contro le donne in generale, in uno scenario di negazione dei più elementari diritti umani. Con la dottrina Reagan (1981-1989) gli Stati Uniti si riservarono di intervenire ovunque fossero minacciati direttamente o indirettamente, con azioni spionistiche e militari unilaterali, in esercizio del principio di legittima difesa, anche preventiva. Teheran auspicava e rilancia oggi lo slogan «Morte all’America», Washington ha piombato i rubinetti commerciali con l’applicazione rigidissima delle sanzioni allo «Stato canaglia» e perno dell’«Asse del male».
Nel 1983 gli Usa non avevano dubbi sulla responsabilità dell’Iran per l’attacco suicida del 18 aprile all’ambasciata americana a Beirut, in Libano, con 63 vittime di cui 17 cittadini americani, e nel doppio attentato del 23 ottobre compiuto da Hezbollah contro le basi francese e americana della forza multinazionale, che lasciò sul terreno insanguinato 241 marines e 56 paracadutisti francesi. Il calcio sembrò di poter dribblare i catenacci politici nel 1998 ai Mondiali di Francia, quando il calendario propose il 21 giugno un Usa-Iran ad altissima tensione. Khamenei vietò qualsiasi forma di saluto, la Fifa intervenne e le cronache ci hanno lasciato le foto di rito dei giocatori abbracciati. L’effimero e timido disgelo con la teocrazia sciita arriverà dopo l’11 settembre 2001 alla collaborazione sospettosa in funzione anti-talebani dell’Afghanistan, ma già l’anno dopo il presidente George Bush Jr reinseriva l’Iran nell’Asse del male con Corea del Nord e con l’Iraq di Saddam Hussein. Con la guerra Teheran espande la sua influenza sulla regione e preme sullo sviluppo nucleare. Nell’atto primo della sua gestione della Casa Bianca (2017-2021) Donald Trump inasprisce la pressione sull’Iran. Con Joe Biden (2021-2015) la diplomazia americana si gioca la carta del cordone sanitario ma l’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele spariglia le carte. È l’Iran a fornire le armi e ad addestrare i terroristi, e in seguito a gestire i fili della ragnatela delle milizie alleate con attacchi contro le basi americane e direttamente contro Israele dopo il raid contro la sezione consolare dell’ambasciata iraniana a Damasco. Trump, bombardando e distruggendo in una notte i siti di arricchimento dell’uranio, ha azzerato il progetto nucleare iraniano e rispostato indietro le lancette dell’orologio della storia. Ma non è detto che sia il punto di ripartenza: potrebbe essere quello del non ritorno.