L’altro giorno la Germania ha scelto di diventare un po’ italiana, stravolgendo quel che finora era stata la filosofia dei governi della Grande Coalizione. Il nuovo Cancelliere Merz ha infatti deciso di tagliare i finanziamenti alle Ong che operano nel Mediterraneo. Lo ha fatto con un colpo netto di forbice: «Il sostegno non è più pianificato», ha affermato il suo ministro degli Esteri commentando l nuovo piano di bilancio. Parole nette sono arrivate anche dal ministro delle Finanze: «Anche se involontariamente, di fatto le Ong stanno permettendo alle disumane bande di trafficanti di esseri umani di fare i loro affari. Il denaro dei contribuenti tedeschi non dovrebbe essere utilizzato a tal fine».
Si tratta di un cambio di rotta importante che, dicevamo, si mette sulla scia di quanto sta facendo il governo Meloni e quanto fece l’allora ministro dell’Interno del governo gialloverde Matteo Salvini, che fu mandato a processo da una Ong con accuse gravi come il sequestro di persona e poi assolto perché il fatto non sussisteva. Salvini dimostrò che fermare le Ong dalle loro azioni unilaterali di sbarco si poteva e si doveva. Con Piantedosi al Viminale la linea ferma prosegue e - dicono i bene informati - proprio l’azione congiunta tra il ministro dell’Interno e la premier ha portato l’Italia a sollevare la questione Ong anche con la Germania, paese dove l’immigrazione sta diventando un problema sociale evidente come dimostra anche il successo di Afd. Da qui la decisione di Merz di fare un segnale e fermare i finanziamenti.
Le parole del ministro delle Finanze sull’impatto che queste Ong hanno rispetto agli affari di bande senza scrupoli è l’intento con cui il governo di centrodestra italiano sta agendo. Continuare a sottovalutare il legame perverso che si crea nelle dinamiche delle traversate è un errore enorme: è ormai acclarato che uno dei canali di finanziamento della malavita e del terrorismo jihadista (che in questo bacino di disperazione trova anche terreno fertile per il reclutamento) passa proprio attraverso l’organizzazione dei viaggi nel Mediterraneo.
La questione a lungo sollevata dal nostro governo finalmente è approdata anche in Europa, che sembra aver modificato il proprio approccio, forse anche per via del fatto che i temi dell’immigrazione hanno caratterizzato le recenti campagne elettorali e caratterizzeranno le prossime a partire da quella imminente in Danimarca. A Giorgia Meloni va il merito di aver insistito sulla questione agendo sull’approccio finora tenuto dalla Commissione.
Lo ha fatto indicando il “modello Albania” come proposta nuova che andrebbe inquadrata dalla Ue e fatta propria, così da neutralizzare le azioni legali. L’idea di trattenere i migranti in un hotspot estero in attesa del rimpatrio era già stata ben accolta dal premier inglese Starmer, leader laburista nonché avvocato affermato proprio nella difesa dei diritti umani; ed è stata oggetto di discussione anche con altri capi di governo, tra cui Merz, il quale starebbe per chiudere un accordo simile con il Kosovo. Un diverso atteggiamento della Commissione a favore del nostro governo potrebbe indirizzare il pronunciamento della Corte di giustizia europea e ottenere una piena copertura di legittimità.
Tra le altre cose, le tensioni nell’area mediorientale genereranno un aumento di flussi migratori che si sommeranno a quelli dall’Africa e non è difficile prevedere che saranno utilizzati anche come leva negoziale verso i paesi europei sul Mediterraneo, come ha recentemente già denunciato il Viminale. L’Europa si ritrova obbligata a dover cambiare l’inquadramento giuridico perché i numeri saranno molto più imponenti. Oltre ai numeri poi ci saranno le problematiche legate alla minaccia di nuove infiltrazioni terroristiche di matrice islamica. Un mix preoccupante, per affrontare il quale è urgente restringere le maglie normative e arginare le missioni delle Ong.