Serve a poco ricordare che l’ufficio del Massimario della Corte di Cassazione non emette sentenze, ma elabora relazioni che contengono pareri non vincolanti sui provvedimenti, e lo fa per agevolare la «funzione nomofilattica», ossia la coerenza nell’interpretazione della legge. E dunque i provvedimenti del governo “smontati” dal Massimario restano a tutti gli effetti in vigore. La verità è che, ogni volta che questo accade, i magistrati ordinari hanno un’arma in più per opporsi all’applicazione di quei provvedimenti. E succede sempre più spesso, come se nel palazzo degli ermellini qualcuno avesse deciso che è arrivato il momento di imprimere “un salto di qualità” ai rapporti tra toghe ed esecutivo. Pochi giorni fa era toccato al «decreto Sicurezza». Il Massimario aveva rilevato in quelle norme «criticità» e «dubbi di illegittimità costituzionale», lasciando il ministro Carlo Nordio «incredulo» e l’opposizione in festa. Ieri si è saputo che lo stesso ufficio ha dato un altro colpo al governo, stavolta prendendo di mira il “Protocollo Albania”, firmato nel novembre del 2023 da Giorgia Meloni ed Edi Rama, e il decreto dello scorso marzo che trasforma le strutture di Shengjin e Gjader in Centri di permanenza per il rimpatrio. Anche in questo caso, gli autori rilevano «numerosi dubbi di compatibilità con la Costituzione e con il Diritto internazionale», in particolare «sul rapporto tra il Protocollo e il diritto dell’Unione».
RISERVATO A POCHI
Con un elemento di mistero in più: a differenza del parere precedente, questo non è stato pubblicato sul sito della Cassazione. Ne ha dato notizia ieri il quotidiano il Manifesto, spiegando che nella Corte «era stato deciso di tenerlo riservato», però «in queste ore sta circolando tra i giuristi». E sarebbe interessante conoscere le ragioni per cui si era scelto di non renderlo pubblico e diffonderlo solo tra gli addetti ai lavori. L’elenco delle possibili «criticità» evidenziate dalla «dottrina» e riportate dal Massimario è lunghissimo. L’ufficio sostiene che il Protocollo comprometterebbe il diritto d’asilo, poiché è privo di una «disciplina analitica degli aspetti procedurali», che sarebbe necessaria per garantire ai migranti condotti in Albania «eguali garanzie rispetto ai migranti in territorio italiano». C’è il problema del trattenimento dei migranti, che «non è più previsto come l’extrema ratio, come previsto dalla disciplina europea», ma diventa «l’unica alternativa indicata dal legislatore», violando così le garanzie sulla libertà personale. Inoltre, qualora cessassero le ragioni del trattenimento, sarebbe «materialmente impossibile» rilasciare subito il migrante in Albania: dovrebbe essere ricondotto in Italia e quindi sarebbe necessario un ulteriore trattenimento, stavolta sine titulo, «della durata di diverse ore, se non addirittura di alcuni giorni». Anche il diritto alla difesa dei migranti trattenuti in Albania sarebbe a rischio, poiché le modalità con cui esercitarlo «non risultano disciplinate da norme legislative», ma sono lasciate alla discrezionalità del responsabile italiano del centro. In pericolo pure il diritto alla salute: se ci fossero «esigenze sanitarie alle quali le autorità italiane non possono far fronte» provvederebbe l’assistenza sanitaria albanese, che però ha un livello, lamenta l’ufficio della Cassazione, «non comparabile con quello italiano», e questo potrebbe comportare «un grave pregiudizio per il diritto alla salute dei “migranti”, protetto dall’art. 32 della Costituzione». E ancora: è un problema che il Protocollo usi il termine generico di «migranti», senza «individuare con precisione la categoria di persone cui l’accordo si riferisce», perché in questo modo crea «una complessiva disparità di trattamento tra gli stranieri». CHIAMATA ALLE ARMI Le presunte contraddizioni tra le norme che regolano l’«operazione Albania» da un lato, e la Costituzione e il diritto internazionale dall’altro, sono quindi molto più numerose di quelle evidenziate dai tribunali. Dove adesso, a partire dalla Corte d’appello di Roma, competente a decidere sulla convalida dei trattenimenti in Albania, hanno nuovo materiale pronto, con impresso il sigillo della Cassazione, per presentare ricorso alla Consulta e attivare il giudizio incidentale di legittimità costituzionale. Le reazioni sono facili da immaginare.
Tripudio a sinistra, dove il verde Angelo Bonelli brinda alla «seconda tegola in caduta libera sul governo» e i Cinque Stelle esultano perché «dall’Ufficio del Massimario arriva un altro documento che fa a pezzi il protocollo Albania». Il capogruppo del Pd in Senato, Francesco Boccia, difende ovviamente la magistratura, la cui azione, «secondo il principio della separazione dei poteri, risponde al dettato della Costituzione». Dalla maggioranza, Fdi denuncia invece l’invasione di campo da parte della Cassazione: «La valutazione sulla costituzionalità di una norma o di un accordo non è attribuita né alla dottrina né a organi tecnici interni al potere giudiziario, ma a due istituzioni precise: il presidente della Repubblica, in sede di promulgazione, e la Corte Costituzionale, qualora venga sollevata una questione formale». Il forzista Maurizio Gasparri usa il sarcasmo: «Probabilmente l’ufficio dove viene redatto il Massimario della Cassazione è stato occupato da esponenti dell’estrema sinistra dei centri sociali». Per il governo parla il ministro Tommaso Foti, spedendo un «avviso ai naviganti, ai fiancheggiatori e ai complici: il governo Meloni andrà avanti nella lotta all’immigrazione irregolare». Questo mentre proseguono le polemiche su ciò che lo stesso ufficio aveva scritto riguardo al decreto Sicurezza. Ieri la giunta dell’Anm ha risposto alle «dichiarazioni del ministro della Giustizia e di vari esponenti politici» chiedendo «rispetto nel democratico confronto fra le istituzioni dello Stato». Tutto, però, fa credere che questo sia solo l’inizio: per molte toghe l’improvviso attivismo della Cassazione suona come una chiamata alle armi.