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Dopo la bomba atomica, la coltellata sovietica

Ottant’anni fa, il giorno prima di Nagasaki, la dichiarazione di guerra dell’Urss a Tokyo, già in ginocchio dopo Hiroshima
di Maurizio Stefanini venerdì 8 agosto 2025

4' di lettura

Ottant’anni fa, due giorni dopo la bomba atomica su Hiroshima e il giorno prima quella su Nagasaki, l’Unione Sovietica di Stalin dichiarò guerra al Giappone. Mentre i due eventi del 6 e 9 agosto vengono ogni anno ricordati con molta attenzione, questo invece passa regolarmente sotto silenzio. Non lo ricorda neanche Putin, che pur per rilanciare il suo sogno imperiale ha ripreso a celebrare il mito della Grande Guerra Patriottica, di Stalingrado e della presa di Berlino. E neanche c’è l’abitudine di parlare di questo evento come di una “pugnalata alla schiena” simile a quella di Mussolini quando il 10 giugno del 1940 dichiarò guerra alla Francia già sconfitta. Anche se in realtà secondo i Diari di Ciano l’ambasciatore André François– Poncet aveva parlato invece di «un colpo di pugnale ad un uomo in terra». Ma fu lo stesso diplomatico francese a raccontare di aver esclamato «e così, avete aspettato di vederci in ginocchio, per accoltellarci alle spalle». E l’espressione fu poi rilanciata da Franklin Delano Roosevelt.

Lo stesso presidente Usa è un ideale collegamento tra le due cose, perché dopo che in seguito a Pearl Harbor si ritrovò in guerra anche con la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini ovviamente si aspettava che Stalin ricambiasse, visto che l’Urss dipendeva pesantemente da un aiuto militare Usa valutato in 170 miliardi di dollari di oggi. Lo avrebbe poi ammesso Krusciov nelle sue memorie che senza quei rifornimenti l’Urss non ce l’avrebbe fatta, alla faccia della propaganda oggi ritirata fuori da Putin e pompata dai nostalgici del comunismo secondo cui sarebbe stata l’Armata Rossa a sconfiggere il nazifascismo da sola – anche ricordando le enormi perdite in realtà dovute molto anche a quella storica abitudine dei comandi russi di mandare masse umane al macello che stiamo ora rivedendo infatti in Ucraina. Ma già Stalin in pratica lo ammise che l’Urss reggeva a stento quel fronte, nel momento in cui in tutte le successive conferenze interalleate rifiutò di toccare il patto di non aggressione che aveva stipulato con Tokyo. Come lo aveva stipulato peraltro con Hitler, attaccando con lui la Polonia e facendosi dare mano libera con Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia e Romania. Solo perché Hitler lo attaccò, si trovò su malgrado dall’altra parte.

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Solo il 5 aprile 1945 Stalin annunciò che il patto di non aggressione col Giappone non sarebbe stato rinnovato, ma con l’annodi preavviso che il trattato prevedeva. Ma ancora alla Conferenza di Potsdam fece sostanzialmente il pesce il barile, dopo che il 13 luglio il Giappone gli aveva mandato proposte proprio nel giorno in cui una dichiarazione di guerra a Tokyo su pressione degli Alleati la fece perfino l’Italia di Ferruccio Parri. Fu l’ultima nella storia del nostro Paese, ma non si fece in tempo a mandare a combattere nessuno. Dopo che Hiroshima rese infine chiaro che il Giappone si poteva solo arrendere, Stalin in capo a due giorni gli rovesciò addosso oltre un milione e mezzo di uomini, con 26.000 cannoni e mortai, 3704 carri armati, 5500 semoventi e 3900 aerei. Il Giappone cessò ufficialmente le ostilità dopo una sola settimana, e sei giorni dopo la bomba di Nagasaki, anche se poi la cerimonia ufficiale che sancì la fine della guerra fu il 2 settembre. Ma, appunto in stile da samurai, i soldati del mikado resistettero disperatamente anche oltre, in qualche caso fino al 30 agosto.

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È vero: in zone dove le notizie non erano arrivate, e d’altronde è diventato proverbiale il personaggio del “giapponese nella jungla” che in isole del Pacifico ha continuato a resistere per decenni fino a quando non si è riusciti a recapitargli messaggi dell’imperatore che la guerra era finita. L’Armata Rossa ebbe quasi 12.000 caduti. L’esercito imperiale 21.000 morti secondo le proprie stime e oltre 80.000 secondo quelle sovietiche, oltre a 640.000 prigionieri. Effettivamente nei giapponesi che non combattevano più contro gli anglo-americani ma strinsero i denti contro la pugnalata alle spalle di Stalin possiamo trovare un parallelismo con i francesi che non combattevano più contro i tedeschi ma dopo il 10 giugno strinsero i denti contro la pugnalata alle spalle di Mussolini.

L’esito di quella settimana di guerra in extremis più appendici non fu comunque minore. In particolare, l’Armata Rossa occupò la Manciuria, che poi consegnò ai comunisti di Mao, assieme agli enormi quantitativi di armi catturati ai giapponesi. E ciò fu decisivo per assicurare allo stesso Mao la vittoria sui nazionalisti di Chiang Kai-shek, in capo a quattro anni. Occupò poi la parte nord della Penisola Coreana, dove installò quel regime della famiglia Kim che si è dato l’atomica ed è arrivato ormai alla terza generazione, con un rampollo che si diverte a tirare missili a go go ed ha spedito truppe al soccorso di Putin in Ucraina. E furono poi occupate la parte sud dell’isola di Sakhalin e l’arcipelago delle Curili, che tuttora i russi tengono senza che ci sia mai stato un trattato di pace. Gli stessi comunisti giapponesi sostengono la nipponicità delle Curili, e a suo tempo definirono addirittura l’ostinazione dell’Urss per tenersele «un tradimento del socialismo scientifico».

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