A leggere certi editoriali odierni sull’incontro di Ferragosto in Alaska appare chiaro che la volontà dei commentatori non è di fare i conti con la realtà ma – more solito – di lapidare retoricamente Donald Trump. Il bullo, lo spaccone, l’imperatore che legittima il diritto del più forte. Quello che insomma, al contrario di Joe Biden, è riuscito a dare concretezza a un colloquio con Putin per porre le prime basi di un trattato di pace.
Certo è tutto ancora molto labile e incerto e può concludersi in un nulla di fatto. Ma anche un primo passo risulta intollerabile agli utopisti che dividono il mondo tra buoni e cattivi e dunque, non potendo inserire Trump nel primo gruppo, quello dei buoni, avevano già in tasca l’analisi di comodo: i due cattivi si sono ritrovati, tra loro se la intendono, sono due imperialisti e discutono le condizioni di una pace in Ucraina facendo a pezzi il diritto internazionale. Ezio Mauro, su Repubblica, è uno dei critici più feroci: i due autocrati – afferma - stanno stringendo sull’Ucraina una tenaglia chiamata pace e l’Europa ora deve essere all’altezza del compito. Come? Nessuna delle anime belle che criticano Trump lo dice ma il come è presto detto, significa continuare la guerra, mandare truppe e portarci tutti sull’orlo dell’abisso di una guerra mondiale. E tutto questo perché non può vincere il diritto del più forte.
Ma esiste una guerra dove il diritto del più forte non sia stato applicato? Esiste una guerra dove vincitori e vinti si trovino sullo stesso piano? E non sarebbe meglio che l’Europa fosse all’altezza del compito investendo nella ricostruzione dell’Ucraina e nel fornire garanzie di difesa a quel popolo proteggendolo da future invasioni (magari utilizzando le clausole dell’articolo 5 dell’Alleanza atlantica come chiesto da mesi dal governo Meloni)?. Proprio Ezio Mauro, va ricordato, mesi fa in tv si era sdegnato per il paragone tra Yalta e un possibile accordo tra Trump e Putin che prevedesse sacrifici territoriali per l’Ucraina. Ma a Yalta non hanno forse deciso tutto i vincitori in barba all’autodeterminazione dei popoli? E Stalin non aveva commesso crimini di guerra? Non aveva brutalmente eliminato gli oppositori? Non aveva condannato alla morte per fame i contadini ucraini con lo Holodomor?
E gli stessi americani non avevano sganciato due bombe atomiche sul Giappone? E gli inglesi non avevano forse teorizzato i bombardamenti a tappeto sulle città nemiche per fiaccare psicologicamente le popolazioni interessate? E a Yalta non si stabilì forse che mezza Europa doveva piegarsi al giogo del tallone sovietico? Proprio Ezio Mauro fece presente che Stalin a Yalta si preoccupò del destino della Polonia osservando che non ne potevano decidere la sorte senza tenere in conto il parere dei polacchi. Vale la pena ricordare quanto annotava Churchill in proposito: “Dopo Yalta si chiarì sempre meglio che il governo sovietico non faceva nulla per applicare i nostri accordi relativi a un ampliamento del governo polacco che includesse tutti i partiti polacchi e entrambe le parti in causa”. Fortunatamente dopo qualche decennio proprio dalla Polonia sarebbe arrivato un sacerdote divenuto poi papa e infine santo che avrebbe con la sua opera sconfitto l’ideologia comunista e vendicato l’oppressione del suo popolo. E andando indietro ai trattati di pace della Prima Guerra mondiale è vero che il presidente americano Wilson predicava una “pace senza vittoria” (l’equivalente dell’odierna “pace giusta e duratura”) ma ciò non impedì lo smembramento dell’impero asburgico e di quello ottomano e la creazione di un nuovo fragile equilibrio. E così èaccaduto sempre in ogni conferenza di pace che non comportava una pace giusta ma sempre un compromesso necessario, in nome di una realpolitik che può apparire odiosa ma salva vite umane da “le spade e li fucili e li popoli civili”, come cantava il disincantato Trilussa.