C'è da essere onesti: chiunque abbia approvato la scelta di impiegare dei marines per srotolare il tappeto rosso ai piedi dell’Ilyushin presidenziale di Vladimin Putin in visita in Alaska andrebbe licenziato in tronco. Per il resto, però, al tanto criticato cerimoniale di Anchorage che avrebbe fatto passare per “nano” Donald Trump di fronte all’omologo russo c’è davvero poco da contestare. Armati di pala e piccone per scavare quest’ultima trincea politica, i direttori artistici della sinistra hanno da un lato finto di ignorare la passeggiata velatamente minacciosa che Trump ha fatto fare a Putin davanti a mezzi militari d’ogni tipo, ad uno squadrone di caccia F-22 (i più avanzati al mondo) e di elicotteri Apache, al sorvolo del letale bombardiere B-2, quello che ha colpito ancora poche settimane fa le centrali nucleari di un alleato russo, l’Iran, nell’impotenza generale; dall’altro, questi grandi organizzatori che sono talmente al palo con le idee da doversi inventare ormai giusto le Feste dell’Unità con la schwa, dimenticano i loro, di cerimoniali, al cospetto di autocrati e dittatori.
Come dimenticare la visita di Xi Jinping a Roma nel 2019. Allora Giuseppe Conte riservò al leader cinese un protocollo che di norma si utilizza per le famiglie reali. Il tutto per firmare il Memorandum della Via della Seta come se stesse comprando il biglietto per il futuro. E il risultato fu invece un isolamento totale. A Parigi Macron organizzò poche ore dopo un summit lampo con lo stesso Xi, Juncker e Merkel, e a Giuseppi che si era sbrigato a firmare tutto in bianco non mandarono manco l’invito di cortesia. Eppure, da lontano, si gonfiò il petto: «Siamo centrali». Centrali sì, come un vaso di fiori durante un traslo co. Andiamo indietro: 2016. Governo Renzi. Arriva in Italia l’iraniano Hassan Rohani. Roma, città dei nudi marmorei, copre le statue dei Musei Capitolini con pannelli di compensato per non urtare la sensibilità persiana. Il premier e il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, respinsero le polemiche nel mo do più goffo possibile: «Non siamo stati informati». L’usciere del Museo che ne sa più di Palazzo Chigi. La toppa peggio del buco.
Sempre al governo Renzi risale l’ultima visita in Italia del bielorusso Alexander Lukashenko. Saggiamente, il premier si diede alla macchia causa agenda fittissima, ma interlocutore privilegiato fu il Sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, che poco prima andò in visita a Minsk. Oggi spiega a Trump come ci si dovrebbe comportare. Altro critico attivissimo del tycoon è Paolo Gentiloni, che ha definito «umiliazione per l’Occidente» il tête-à-tête in Alaska. Lui sì, invece, che è un uomo tutto d’un pezzo. Tanto che, quand’era premier, da Putin incassò persino i complimenti: «Da quando c’è lei l’interscambio cresce di nuovo», gongolò lo zar a Sochi, con foto del brindisi tra vodka e pacche sulle spalle. La Crimea, Putin, l’aveva annessa già tre anni prima. I più sale e pepe ricorderanno infine dei grandissimi classici. Come quando Romano Prodi, nel 1998, fu il primo leader occidentale a rompere dell’Iran l’isolamento post-Khomeini, e nel ’99 accolse con sorrisoni a favor di camera il presidente Mohammad Khatami, venduto come il «Gorbaciov iraniano». Solo che due anni dopo fece massacrare centinaia di studenti. Prodi ci spiegò che era necessario «capire» l’Iran. E difatti lo fece benissimo anche nel 2008, quando andava d'amore e d’accordo con Mahmoud Ahmadinejad, uno che negava l’Olocausto. Vogliamo dimenticare Massimo D’Alema e le sue passeggiate con Hezbollah nel 2006? O Emma Bonino, la pasionaria dei diritti umani, che nello stesso anno in Cina restò muta come un pesce quando Prodi (sempre lui! ) proponeva di togliere l’embargo sulle armi a Pechino? E qui sta il punto: quando la destra stringe la mano al despota, è un’oscenità affaristica. Quando lo fa la sinistra, è “realpolitik dal volto umano”. Alla fine la storia è sempre quella: col moralismo in pubblico e l’inginocchiamento in privato sono condannati a muoversi a zig-zag. Con la stessa agilità retorica di un prestigiatore ubriaco.