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Il calcio con le teste dei nemici Trump e Franco

di Lorenzo Cafarchio martedì 26 agosto 2025

3' di lettura

Freedom kick li hanno chiamati. Quindi siete pronti a immaginarvi un pallone e un campo dove lo sport diventa unione e una pedata è un calcio contro l’odio. Ecco se avete pensato a tutto questo vi siete sbagliati di grosso. L’artista spagnolo Eugenio Merino ha ideato assieme al collettivo statunitense Indecline “La Copa del Generalísimo”. Ovvero? Una partita di calcio in cui si sono sfidati 22 sciamannati che come sfera hanno usato una riproduzione della testa del Caudillo Francisco Franco. Prima ancora lo aveva fatto con il capo di Donald Trump. Ci arriveremo.

Le foto sono stomachevoli, lo diciamo subito, ma non vogliamo neanche dare un giudizio morale, l’antifascismo lo conosciamo. Inoltre questo giornale non è composto da educande eppure la visione delle due squadre sfidatesi su un campo fatto di sterpaglie - vestite di nero e di rosso intente a prendere a calci la capoccia di Franco è orrifica.

A maggior ragione perché tra di loro c’è quello che è poco più di un adolescente. Infine, come se non bastasse, l’inusuale pallone è stato esposto al museo archeologico e paleontologico di Cueva del Toll.

La sfida ha visto il suo svolgimento lo scorso 4 luglio nei pressi della città di Moia - circa 60 chilometri a nord di Barcellona- dove nel 1939 si svolse una violenta battaglia, durante la Guerra civile spagnola, tra nazionalisti e repubblicani. L’agenzia Reuters, all’indomani della performance, ha riportato la notizia spiegando come lo spagnolo Merino abbia ricreato in gomma il volto di Francisco Franco soprannominando la sfera Kick Franco’s head «per commemorare il 50esimo anniversario della morte del dittatore». Commemorare, avete letto bene. Il calcio è stato scelto, tra le tante rivendicazioni farneticanti, per denunciare l’uso propagandistico che Franco, secondo gli organizzatori, ne avrebbe fatto durante il franchismo. Infatti nel 1964 la Spagna piegò, nella finale degli Europei casalinghi, l’Unione Sovietica 2-1 sollevando il suo primo trofeo. Erano gli iberici della stella interista Luis Suárez pallone d’oro nel 1960.

E pensare che dal 1958 nella Valle de los Caídos proprio Franco decise di seppellire insieme i caduti, oltre 50mila, provenienti dalle due fazioni della guerra civile. Un gesto atto a unire e superare il sangue del passato, ma che nel 2019 lo ha visto esumato - anche lui era inumato nella valle per volontà di Pedro Sánchez venendo poi sepolto nel cimitero madrileno di Mingorrubio-El Pardo. Stessa sorte toccata, nel 2023, a José Antonio Primo de Rivera fondatore della Falange spagnola. Vedere il Caudillo calciato dopo 50 anni dalla morte è un gesto rivoltante, contro cui nessuno ha speso una parola. In questo frustrato sfogo non c’è nulla di ribellistico o di rottura, ma solo disprezzo secolare. Merino ha dichiarato, attraverso i suoi canali social, che «vedere la sua testa - di Franco, ndr sbattere contro i parapetti è qualcosa che centinaia di migliaia di soldati repubblicani avrebbero applaudito con rabbia. Molto più di una corrida, ovviamente. O di una partita di calcio». Siamo sicuri? L’onore delle armi riconosce un certo stile e una certa grammatica che l’antifascista Merino non è in grado di comprendere evidentemente.

Questa passione pallonara, che ha preso piede anche in Europa, è stata registrata a inizio 2025 in Messico dove a centrocampo il fischio d’inizio ha visto calciare la testa di Trump. Mentre la primogenitura, di questo bieco gioco, è spettata lo scorso anno al capo del cancelliere tedesco Otto von Bismarck. Colpevole, durante la conferenza di Berlino del 1884-1885, di aver regolato le questioni coloniali della Germania in Africa. Antesignano, quindi, del colonialismo e per questo da umiliare.

La colpevolizzazione continua del passato questa volta arriva attraverso un cranio preso a calci. Calciato dagli stessi che hanno trasformato la storia in un campo da calcio dove vogliono vestirsi da calciatori, da arbitri, da var, da spettatori e da regole stesse per cancellare, dalla società civile più che dal campo, i nemici. Eppure a finire in fuorigioco sono proprio quest’ultimi, ingannati dalla loro stessa trappola fatta di disprezzo.

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