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Onu, se al Palazzo di Vetro anche i palestinesi stroncano Hamas

L’Anp: "Pronti a governare noi la striscia di Gaza". E scoppia il caso Uefa: si va verso il voto per escludere tutte le squadre di calcio israeliane dai tornei internazionali
di Amedeo Ardenza venerdì 26 settembre 2025

3' di lettura

 All’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Unga) a New York il presidente dell’Autorità palestinese (Ap) Mahmoud Abbas non si è potuto presentare, “sgambettato” dal presidente degli Stati Uniti. Tanto all’autorità con sede a Ramallah quanto all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp, anch’essa presieduta da Abbas), Donald Trump contesta di «non aver rispettato i loro impegni e aver minato le prospettive delle pace», due attività «contrarie all’interesse nazionale degli Stati Uniti». Da cui la decisione del Dipartimento di Stato di negare ad Abbas e al suo seguito di 80 (ottanta) persone il visto per sbarcare sul suolo americano. In base a un accordo del 1947 fra gli Usa e le Nazioni Unite, i visti per accedere al Palazzo di Vetro sono in linea di massima sempre concessi ma nel 1988 il presidente Ronald Reagan lasciò fuori dalla porta l’allora capo dell’Olp e predecessore di Abbas, Yasser Arafat, considerato un terrorista, e la Unga finì per essere celebrata non al Palazzo di Vetro nella Grande Mela ma al Palazzo delle Nazioni di Ginevra.

DISCORSO DA REMOTO
Per Abbas l’Assemblea Generale non si è spostata: al contrario il 90enne Abu Mazen (questo il suo nome di battaglia) si è rivolto ai delegati delle nazioni da remoto. Un’occasione persa per stringere le mani dei rappresentanti di quei paesi come Regno Unito, Francia, Canada e Australia solo per nominarne alcuni che hanno annunciato il riconoscimento della Palestina. E poiché quell’embrione di stato ha di fatto due governi, uno quello dei terroristi di Hamas, l’altro quello di Abbas, eletto 21 anni fa per un mandato di quattro anni, c’è da presumere che, fra i due, gli ambasciatori si sarebbero congratulati con l’autocrate di Ramallah. Nella migliore tradizione arafattiana, Abbas si è rivolto al concerto delle nazioni parlando da “colomba”, o almeno ci ha provato. «Abbiamo modificato la nostra Carta nazionale, abbiamo respinto la violenza e il terrorismo, e abbiamo adottato una cultura di pace», ha scandito nel suo discorso. «Abbiamo fatto tutti i nostri sforzi per costruire le istituzioni di un moderno stato palestinese che viva fianco a fianco in pace e sicurezza con Israele».

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Abbas non ha però menzionato le pensioni erogate dal suo governo a chi uccide cittadini israeliani addossando invece allo stato ebraico il mancato rispetto di ogni accordo. Quindi ha ringraziato chi ha riconosciuto la Palestina, «un nobile gesto che non dimenticheremo» e invocato la liberazione «di tutti gli ostaggi e i prigionieri dalle due parti». Un appello pacifinto che equipara dei civili israeliani strappati dalle loro case e segregati nei tunnel da quasi 24 mesi privi di cibo, acqua, luce e cure mediche ai detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Fra questi si ricorda Yahya Sinwar liberato da Israele nel quadro di uno scambio ineguale con Hamas. Durante la sua detenzione Sinwar, malato di tumore al cervello, fu curato dai chirurghi israeliani. Rilasciato, diventerà il capo di Hamas a Gaza e l’ideatore del 7 ottobre.

LE ACCUSE
Campione di cerchiobottismo, Abbas ha «respinto» il pogrom del 7 ottobre «nonostante tutte le sofferenze dei palestinesi» - altra frase ambigua che indica come gli israeliani quel pogrom se lo siano meritato- e condannato «la guerra genocida» condotta da Israele «che sarà nei libri di storia e nelle pagine della coscienza internazionale come uno dei capitoli più orribili della tragedia umanitaria nel XX e XXI secolo». Peggio anche della Shoah, ha insinuato, rispolverando la sua antica passione per il negazionismo dell’Olocausto. E mentre il vecchio Abbas, fomentatore dei tribunali internazionali contro Israele, rispolverava tutto il suo armamentario biforcuto, il Qatar, campione globale di doppiogioco, è andato in pressing sulla Uefa affinché escluda Israele dalle competizioni internazionali in nome della pace. Stando alle indiscrezioni raccolte dal quotidiano britannico Times, una decisione in merito potrebbe arrivare già la prossima settimana. La maggioranza, anche fra le federazioni, ci sarebbe già: a rischiare è il Maccabi Tel Aviv, impegnato in Europa League. Dopo il riconoscimento della Palestina da parte di molti governi, la pressione sul presidente Cefarin è aumentata, aprendo le porte al possibile voto. Ma la sospensione dai tornei chiuderebbe a Israele anche le porte del prossimo Mondiale di calcio. Netanyahu (che oggi parlerà all’Onu) ha spiegato di essere al lavoro per evitare che ciò accada. Eventualità che vorrebbe evitare anche Trump dato che il prossimo Mondiale si giocherà negli Usa.

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