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Israele, perché esiste il blocco navale

La barriera di Israele nata nel 2009 contro il contrabbando di armi di Hamas
di Antonio Castro domenica 28 settembre 2025

3' di lettura

Una volta terminato il can can mediatico del “parto-non parto” delle circa 50 imbarcazioni della Global Samud Flotilla una cosa è certa: si finirà (di nuovo) nei tribunali internazionali per darsele di santa ragione ma nelle aule giudiziarie. La lenta navigazione dalle acque a largo di Creta (dove sono in attesa gli attivisti imbarcati per il “salto definitivo” verso le coste di Gaza) si prospetta tutto sommato serena. Almeno dal punto di vista meteorologico e del moto ondoso. Il vento (da 20 a 23 nodi, ieri pomeriggio), potrebbe consentire una navigazione a vela. Certo un po’ d’onda al traverso (60 centimetri sotto costa, oltre 1 metro a largo), potrebbe dare fastidio.

E le stimate 457 miglia marine in circa 4 o 5 giorni di navigazione dovrebbero scivolare via. E fin qui - anche stando alle ultime notizie provenienti dalla fregata Alpino della Marina militare italiana- la situazione appare abbastanza serena. Il problema è quando le barche, cariche di 250/300 tonnellate di aiuti alimentari e sanitari raccolti a fine agosto e suddivisi nelle varie imbarcazioni, si avvicineranno alle acque che lo Stato di Israele considera come area di competenza e sicurezza. E qui si entra in un ginepraio di sentenze, pronunciamenti e controdeduzioni da far venire il mal di testa.

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Secondo gli Accordi di Oslo (2009) le acque territoriali al largo di Gaza sarebbero state incluse nella giurisdizione territoriale dell’Autorità Palestinese e la sicurezza esterna sarebbe stata di competenza di Israele (come precisato anche in uno degli accordi di Gaza-Gerico) fino alla definizione dello status definitivo. Ma la sovranità sul mare territoriale di Gaza è esercitata da Israele. Dal 2009 il governo israeliano ha attivato un blocco navale, limitando le attività di pesca. Dal 7 ottobre 2023 anche le poche unità di pescherecci dei gazawi, che battevano le coste, sono state distrutte o in parte non si azzardano più a prendere il mare.

Israele ha ufficialmente dichiarato il blocco navale su Gaza nel gennaio 2009, durante l’operazione “Piombo Fuso”. L’obiettivo è limitare la capacità di Hamas di introdurre clandestinamente armi e materiale bellico. Dopo di che a botte di un milione di dollari a tunnel Hamas ha pensato bene di mettersi a scavare per favorire il contrabbando e il passaggio di armi, droga e generi vari e trasferimenti di valuta. Soldi necessari per pagare le truppe dei miliziani di Hamas (c’è chi li chiama terroristi chi partigiani della resistenza palestinese) che dal 2006 conquistarono con il 44% dei consensi elettorali, la maggioranza politica, togliendo il controllo della Striscia all’Anp di Al- Fatah.

Negli ultimi decenni sono stati molti i tentativi di violare il blocco. Sempre respinti dall’Idf. Il tentativo di superare il cordone della Marina militare israeliana (31 maggio del 2010) è trasceso con l’abbordaggio e l’uccisione di dieci attivisti turchi. Nel settembre 2011 l’Onu rese pubblico un rapporto: «Il blocco navale è stato imposto come legittima misura di sicurezza per impedire che le armi entrino a Gaza via mare e la sua attuazione è conforme ai requisiti del diritto internazionale». È questo rapporto delle Nazioni Unite a dare forza alle autorità israeliane che ritengono legittimo controllare le coste. C’è da dire che ilo stesso documento dell’Onu definisce «eccessiva e irragionevole» la decisione di Israele di «abbordare le navi con una forza così consistente a grande distanza dalla zona di blocco».

Azione avvenuta a 72 miglia marine dalla costa. Altro documento a cui Gerusalemme si appella è il Manuale di San Remo sul diritto internazionale applicabile ai conflitti armati in mare, del 1995, che codifica il blocco navale tra i mezzi «consentiti». Purché «non abbia l’effetto di ridurre la popolazione alla fame». Proprio per questo motivo Israele da anni «assicura di far affluire aiuti nella Striscia». Aiuti puntualmente depredati (e rivenduti al mercato nero) dalle truppe di Hamas. A inizio giugno le Nazioni Unite hanno fatto sapere che a Gaza «il prezzo di un singolo chilogrammo di farina oscilla ora tra 15-26 euro. Un pacco di spaghetti 5 euro, 1 chilo di lenticchie 10 euro. Soldi che alimentano le casse di Hamas.

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