Meno di 400 miglia marine dividono la Flotilla dalle acque a largo della Grecia a quelle di fronte a Israele e la Striscia di Gaza. Per gli attivisti il problema principale resta l’apertura di «un corridoio umanitario» che, scandisce la portavoce italiana della Global Sumud Flotilla, Maria Elena Delia, «vorremmo fosse permanente». A pensarci bene altri corridoi sicuri ci sono già.
Diverse soluzioni sono state prospettate: la consegna nel porto israeliano al porto di Ashkelon, a una manciata di chilometri a nord della Striscia di Gaza. Gli attivisti hanno rifiutato. Così come hanno rimbalzato quella del governo italiano (scarico a Cipro) con la mediazione e l’impegno del Patriarcato latino di Gerusalemme di attivare i propri canali per far giungere ai gawawi le 250 tonnellate raccolte. Anche Palazzo Chigi aveva accolto l’appello del Quirinale di intervenire per la consegna delle derrate. Il ponte aereo garantito nei mesi scorsi dall’Aeronautica militare ha già recapitato 2.300 tonnellate di aiuti di emergenza. I dati messi in colonna dalla Farnesina raccontano uno sforzo umanitario iniziato l’11 marzo 2024 con la campagna di solidarietà denominata “Food for Gaza”.
Missioni e corridoi sanitari che hanno consentito non solo di sfamare - stimano Fao, Pam e unità di Crisi - oltre 1 milione di persone. Ma anche di prestare cure a 181 bambini e a accogliere oltre mille accompagnatori e feriti non curabili nelle strutture sanitarie della Striscia. Sono state attivate 150 borse di studio a studenti palestinesi di Gaza e altre 50 iniziative di formazione per i residenti in Cisgiordania (Iupals) che coinvolge 41 atenei in tutta Italia. Italiani brava gente? Può essere. Magari gli attivisti pro Pal non ci credono e non si fidano ma i dati forniti dall’Onu a giugno parlano di massicci ingressi di derrate, presidi sanitari e perfino 60 tonnellate di mangimi per i pochi animali (somari e cammelli) sopravvissuti a quasi due anni di guerra e di fame. Non sono pochi i furti di animali che sostituiscono benissimo i mezzi di trasporto. Anche i miliziani di Hamas li adoperano per trasportare esplosivi e missili, sostengono dall’Idf.
Solo 2 giorni fa intervenendo all’assemblea generale delle Nazioni Unite il premier Benjamin Netanyahu ha dichiarato che «dall’inizio della guerra, Israele ha introdotto in Gaza più di due milioni di tonnellate di cibo e aiuti», giustificando la fame a Gaza con i furti e il mercato nero gestito da Hamas a prezzi folli. Gli attivisti della Global Samud Flotilla non credono a tanta generosità. E insistono per la consegna diretta ai gazawi.
C’è un motivo se Gerusalemme rivendica l’accesso di 2.079.782 tonnellate di aiuti (via terra) con 107.103 camion. Altre 7.996 tonnellate paracadutate e oltre 13mila tonnellate via mare. Il blocco navale è rivendicato come «legittimo» da Israele. Nel settembre 2011 l’Onu rese pubblico un rapporto (a seguito di un sanguinoso tentativo di sbarco che costò la vita a 10 turchi): «Il blocco navale è stato imposto come legittima misura di sicurezza per impedire che le armi entrino a Gaza via mare e la sua attuazione è conforme ai requisiti del diritto internazionale».
È proprio questo rapporto dell’Onu a dare forza alle autorità israeliane che ritengono legittimo il controllo delle coste. Altro documento a cui Gerusalemme si aggrappa è il Manuale di San Remo sul diritto internazionale applicabile ai conflitti armati in mare (1995), Manuale che codifica il blocco navale tra i mezzi «consentiti». Purché «non abbia l’effetto di ridurre la popolazione alla fame». Il valico egiziano di Rafah è serrato dai militari del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Di corridoi alternativi ce ne sono. Ma se si vuole passare via mare bisogna tener conto che a Gaza non c’è un porto.