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La pace a un passo e la triste partita di chi rema contro

di Mario Sechi giovedì 9 ottobre 2025

4' di lettura

Da una parte ci sono i flotillanti ricevuti come eroi di una missione tragicomica, i cortei che inneggiano alla strage degli ebrei del 7 ottobre, Francesca Albanese che rivela il suo volto e ora terrorizza la sinistra, gli studenti ignoranti che occupano le università e non hanno mai letto un libro di storia, i partiti della sinistra che cavalcano l’irrazionalità che sfocia nell’antisemitismo; dall’altra parte, nella realtà, siamo vicini a una svolta della guerra a Gaza, una mossa fondamentale nella scacchiera del nuovo Medio Oriente.

La forza dell’esercito di Israele e la leadership di Netanyahu nel guidare un Paese aggredito, la determinazione dell’America di Donald Trump nel cercare il negoziato (e piegare il Qatar), sono all’ultimo miglio. Tutto può succedere, ma gli uomini di buona volontà sperano nella pace. La lista di chi non la vuole è lunga, e di coloro che per ragioni di piccolo calcolo politico soffiano sul fuoco del conflitto e desiderano il fallimento dei negoziati si occuperà presto il tribunale della storia.

Ma è chiaro a tutti che Israele ha vinto la guerra sui 7 fronti, impiegando quello che conta in un conflitto, il massimo della forza contro Hamas, Hezbollah, gli islamisti orchestrati da Teheran. Non è andato tutto bene in questi due anni, sull’ottavo fronte, quello della comunicazione, contro gli ebrei si è scatenata una tempesta di menzogne che non è stata arginata, ma alla fine nella battaglia (e nella storia) conta una sola cosa, la vittoria. La partita a questo punto si gioca su più piani:

1) La ricostruzione di Gaza, la sua sicurezza e il suo controllo politico. Qui il ruolo dei Paesi della Lega araba è fondamentale e determinerà un nuovo corso, insieme all’impegno degli Stati Uniti (con una futura base militare) e allo scudo sul terreno della fanteria israeliana. Gaza, i palestinesi, per la prima volta nella storia hanno una reale opportunità, un futuro.

2) La mappa è più grande di quella della Striscia, mostra le rotte energetiche, i giacimenti, gli oleodotti, le gasiere, le infrastrutture del dominio degli idrocarburi. Sarà ancora il secolo del gas e del petrolio. Nello spazio che va dal Mediterraneo Orientale fino al Golfo si dispiegano forze che plasmano il mondo nuovo di cui il grande architetto è l’America di Trump.

3) Accanto alle reti energetiche si ramificano le autostrade della finanza, gli investimenti dei fondi sovrani delle petro-monarchie del Medio Oriente, un oceano di denaro che nel 2024 è pari a 12 trilioni di dollari, e nel 2030 balzerà a 18 trilioni. È il carburante di un passaggio epocale dove il ritorno degli imperi è il dato geopolitico, un mix di potenza militare, leva finanziaria, superiorità tecnologica.

Guidano gli Stati Uniti, segue la Cina, con la Russia che l’accompagna col mestiere delle armi, la Turchia che sgomita per avere un ruolo di potenza regionale, assieme all’Iran che si mostra come il soggetto più instabile della partita e probabilmente sarà colpito ancora da Washington e Gerusalemme, al fine di chiudere l’era del regime atomico dell’ayatollah Khamenei.

Il paradosso è che nel momento in cui si avvicina la pace assistiamo al ballo delle majorette dell’utopia, di cui la sinistra italiana è una tragica comparsa. Elly Schlein, Giuseppe Conte, Maurizio Landini, la profetessa di Gaza, Francesca Albanese, sono i volti di una bancarotta culturale anti-occidentale, anti-americana, anti-italiana. Con loro i conti li regoleranno gli elettori. Non c’è solo da ricostruire Gaza, da ridisegnare la mappa del Medio Oriente (e chiudere la guerra in Ucraina), c’è anche da rifondare la sinistra, non prima però che sia andata completamente alla deriva. Di fronte a una sfida senza precedenti, questa compagnia di giro si è ritrovata di fatto al fianco della Cina e della Russia, in direzione contraria rispetto alla storia, contro la pace di cui si fanno alfieri, contro il buon senso, contro gli accordi di Abramo che in Medio Oriente stanno per crescere a dismisura, contro i palestinesi, contro il mondo libero.

Ancora una volta, in un tragico testacoda della storia, il demone dell’antisemitismo, la sorte degli ebrei, sarà la prova più grande per il destino delle democrazie. Che la svolta sia vicina lo testimonia il consueto attivismo da sfasciacarrozze di Emmanuel Macron, il quale non beccando palla in casa, cerca spazio nelle fughe in avanti all’estero. L’ultima invenzione è quella di un vertice all’Eliseo su Gaza, iniziativa che Israele ha bocciato solennemente. Sono sortite dannose e segnano la differenza enorme con la strategia costruttiva di Giorgia Meloni che i pro-Pal vorrebbero alla sbarra davanti al Tribunale penale internazionale. Sono agenti del caos, anche per loro presto ci sarà il verdetto della storia.

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