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Nobel per la pace, la regola che blocca Trump non fu applicata a Obama

Previsione rispettata: a Oslo è sempre una questione di tradizione e di ipocrisia
di Fausto Carioti sabato 11 ottobre 2025

3' di lettura

Previsione rispettata. Non per quanto riguarda il vincitore: pochi si aspettavano che il Nobel per la Pace andasse a María Corina Machado. Sul fatto che Donald Trump non sarebbe stato insignito, però, era facile scommettere. Piuttosto che darlo a lui, a Oslo hanno premiato una venezuelana di destra. Questione di tradizione e di ipocrisia.

Tantissima, quest’ultima. Gronda dalle parole del segretario della commissione che assegna il premio, il sociologo norvegese Kristian Berg Harpviken. Repubblica lo ha intervistato, il colloquio è apparso nell’edizione di ieri. Harpviken, che ovviamente sa tutto, non può dire se il presidente statunitense abbia vinto o no (il risultato è stato reso noto ieri mattina). Però lo fa capire, illustrando i criteri che lui e i cinque membri eletti dal parlamento norvegese hanno dovuto seguire.

I loro lavori, spiega, «sono definiti dal testamento di Alfred Nobel, che recita come il riconoscimento vada “alla persona che si è distinta nell’anno precedente”. Che per noi significa prima della chiusura delle candidature, il 31 gennaio: lì si concentra la nostra attenzione». Ciò che è avvenuto dopo quella data «può giocare un ruolo marginale». Persino se in seguito accade qualcosa di «monumentale», assicura, il loro verdetto non può cambiare, per due ragioni. «Primo, quanto avvenuto dopo il 31 gennaio non può mai costituire il motivo principale del premio. Secondo: il processo decisionale dura mesi» e la loro ultima riunione si è tenuta lunedì 6 ottobre. «Non è che cambiamo idea la sera prima».

Gente seria, insomma. Che rispetta tutte le norme alla lettera. O forse no. Perché i saggi di Oslo, a ben guardarli, assomigliano a certe camarille da repubblica delle banane, impegnate ad applicare le regole agli amici e a interpretarle per quelli che non appartengono alla loro parrocchia.

È vero che nelle disposizioni di Nobel è scritto che i premi devono andare «a coloro che, durante l’anno precedente, hanno apportato il massimo beneficio all’umanità». Compreso quello da assegnare «alla persona che ha fatto di più o meglio per promuovere la fratellanza tra le nazioni, l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti e l’istituzione e la promozione di conferenze per la pace». Ma su quando inizi e quando finisca l’«anno precedente», la commissione ha sempre avuto amplissima discrezionalità.

Basta tornare indietro al 9 ottobre del 2009. Barack Obama è entrato alla Casa Bianca il 20 gennaio dello stesso anno, nel 2008 è stato solo il candidato vincente del Partito democratico, senza alcuna possibilità di influire sulla politica estera degli Stati Uniti e sulla scena mondiale. Eppure, quel giorno, il 44esimo presidente viene premiato col Nobel per la Pace «per i suoi straordinari sforzi volti a rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli».

Il comunicato che annuncia la sua vittoria spiega che «Obama, in qualità di presidente, ha creato un nuovo clima nella politica internazionale. La diplomazia multilaterale ha riacquistato una posizione centrale», eccetera eccetera. Il presidente della commissione, il laburista Thorbjørn Jagland, racconterà poi che lui e gli altri avevano dato molta importanza al discorso sull’Islam che Obama aveva tenuto al Cairo il 4 giugno 2009, e ai suoi sforzi per prevenire la proliferazione delle armi nucleari e i cambiamenti climatici. Tutte cose fatte come presidente, ovviamente.

Nel caso di Obama, la regola per cui «quanto avvenuto dopo il 31 gennaio non può mai costituire il motivo principale del premio», che oggi la commissione ritiene scolpita nel marmo, non fu fatta valere. Un trattamento di favore per il presidente democratico. O forse l’eccezione è stata Trump: quella norma è elastica, solo a lui l’hanno applicata in modo rigido. Qualunque sia la risposta, la disparità di trattamento è evidente. Ambedue in carica da otto mesi e mezzo, uno declamava bellissimi discorsi progressisti e l’altro ha fatto firmare la pace tra Armenia e Azerbaigian, messo fine alla guerra tra Iran e Israele e posto le basi per la fine del conflitto tra Israele e Hamas. E il Nobel l’ha ricevuto il primo. Lassù, del resto, hanno una tradizione da rispettare. L’unico presidente repubblicano a vincere il Nobel per la Pace è stato Theodore Roosevelt, nel lontano 1906. Dallo stesso fronte venivano il vicepresidente Charles G. Dawes (vincitore nel 1925) e il segretario di Stato americano Henry Kissinger (1973). Nulla per il partito dell’elefante, da allora. Solo nell’ultimo quarto di secolo, il premio è andato invece ai democratici Jimmy Carter (ex presidente, anno 2002), Al Gore (ex vicepresidente, 2007) e Obama. A Oslo hanno un problema con la destra, e in modo particolare con quella statunitense.

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