Ben 736 giorni di angoscia. False speranze, paure, aspettative. Ieri sera si è diffusa la voce di un anticipo sui tempi. Solo voci, per il momento. Le famiglie degli ostaggi rapiti dai guerriglieri di Hamas il 7 ottobre 2023 attendono le prossime 24/48 ore con un groppo indigesto di sentimenti che soltanto il lento trascorrere del tempo di questa “tregua” potrà trasformare in gioia almeno per i congiunti dei 20 sequestrati che si auspica possano essere ancora in vita. Poi ci sono gli altri 28 ostaggi. E le rispettive famiglie aggrappate ad un flebile filo di speranze. Ad un miracolo. All’esile speranza che i papà, i figli, i nonni rapiti possano “risorgere”. Ribaltando le voci, le infauste segnalazioni raccolte da Shin Bet, Cia, servizi arabi vari - sul decesso possano essere un errore. E quindi che i delicati moniti a prepararsi al peggio si ribaltino in un gioioso momento dopo tanto dolore. Lenendo i trasferimenti da un tunnel all’altro, da una safe house ad una tenda nel devastato gruviera in due annidi conflitto medievale. Combattuto casa per casa.
Nel gennaio 2024 un approfondimento del New York Times- rifacendosi a fonti militari israeliane - stimava che la rete di tunnel, cuniculi, autostrade sotterranee realizzate dal 2006 in poi fosse immensa per uno scampolo di deserto che si estende per appena 365 chilometri quadrati. La rete sotterranea improvvisata nei meandri della Striscia di Gaza (con i soldi del Qatar) si aggira tra i 560 e i 720 chilometri, un terzo in più di quella di Londra (che si estende per 402 chilometri). Gli ostaggi ancora in vita (orrendo distinguo soltanto da scrivere) lunedì dovrebbero tornare in Israele. Ieri sera (proprio nel pieno della festività del sabato) le forze israeliane (Idf) hanno garantito di «aver concluso le attività in vista del ritorno degli ostaggi in Israele appena saranno stati liberati da Hamas dopo oltre due anni di prigionia nella Striscia d Gaza.
Secondo le indi screzioni raccolte dal Times of Israel le unità sanitarie militari hanno «allargato» la struttura di prima accoglienza nella base di Re’im (un kibbutz nel sud di Israele a pochi chilometri da quel fazzoletto di terra dove si svolgeva il festival Supernova divenuto tristemente famoso). La struttura sanitaria è stata «già utilizzata in passato in occasione del rilascio di altri ostaggi». Qui verranno effettuati i primi controlli medici e si terrà l'incontro (riservato) con i familiari. Poi inizieranno gli accertamenti. E si sceglierà, a secondo delle necessità, dove proseguire le cure.
Il trasporto aereo, direttamente al Soroka Hospital di Be’er Sheva, è previsto nei casi in cui sia necessaria assistenza medica con urgenza. Pronte le stanze nel Rabin Medical Center-Beilinson Campus di Petah Tikva, lo Sheba Medical Center di Tel Hashomer e il Centro medico Shamir (Assaf Harofeh) di Tzrifin. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ieri se ne è accertato. Poi verrà il tempo di riportare a casa i resti degli altri, delle salme. Di ciò che resta. Di quanto sarà possibile rintracciare. Hamas ha già messo le mani avanti: complicato raggruppare i sopravvissuti. Ancora più accidentato sarà il compito di riportare a casa le spoglie di chi è stato ingoiato dalla fossa del terrore. Crudo ma è questo il problema.
È già stata approntata un’unità multinazionale. E se Hamas non saprà indicare un luogo verrà attivata l’unità (multinazionale) istituita dal Coordinatore per i prigionieri che opererà nella Striscia di Gaza per recuperare le salme. Della equipe faranno parte- spiega Channel 12- esperti di Qatar, Egitto, Stati Uniti e Israele. In Israele esiste una speciale organizzazione (Chevra Kadisha) composta da uomini e donne, che si prende cura della preparazione e sepoltura delle salme secondo la tradizione, fino alla cerimonia dell’interramento. Probabile l’affiancamento dei volontari religiosi, degli ultra ortodossi di Zaka, che dal 1989 interviene «per recuperare i corpi di vittime di attacchi terroristici».