Mentre buona parte del mondo gioisce per l’accordo di pace raggiunto e firmato a Gaza c’è almeno un leader occidentale che piange dopo aver trascorso 24 tra le ore più umilianti della sua carriera. Questi è Pedro Sanchez, il premier spagnolo, che in un sol colpo sta raccogliendo i frutti marci della sua dabbenaggine politica e delle sue scelte avventurose, dimostrando a quanti lo hanno ripetutamente preso come esempio virtuoso della sinistra internazionale, vedi Schlein, di essere quello che è sempre stato, un “fanfarrón” direbbero in Spagna, un pallone gonfiato diciamo da noi.
L’accordo di pace a Gaza è già di per sé un brutto colpo per Sanchez che ha sempre rappresentato l’ala più a sinistra dei pro-Pal, uno tra i primi a riconoscere la Palestina in questa ondata, fautore sì a parole della soluzione a due Stati ma con alle spalle una coalizione piuttosto propensa a parlare di una Palestina che va «dal fiume al mare».
Qualche giorno fa Sanchez aveva scritto su X di «accogliere con favore» il piano di pace presentato dagli Stati Uniti, ma si è attirato le ire dei suoi alleati di governo, Podemos, Sumar ecc, che al contrario lo considerano «un piano di affari e di dominio contrario al diritto internazionale». La firma sull’accordo che, ci si augura, porterà pace a milioni di persone, ha sancito l’esclusione di quel governo da un fronte occidentale che in ogni caso dovrebbe avere maggior riguardo degli ebrei e di Israele. Ma il peggio doveva ancora arrivare e ci ha pensato lo stesso Trump a confezionarlo, minacciando di espellere la Spagna dalla Nato per essersi rifiutata di raggiungere il 5% della spesa per la difesa, nonostante si fosse impegnata a farlo per iscritto, come avevano fatto tutti gli altri Paesi.
«Essere europeista e atlantista non implica un’adesione cieca che altri nel nostro Paese propongono» disse Sanchez in occasione di quel vertice all’Aia, ma con che faccia pretende di rimanere dentro al Patto Atlantico se tutti gli altri pagano il 5% e lui il 2?
«Sánchez è la più grande calamità che la Spagna abbia avuto da molto tempo» ha scritto su X il leader di Vox Santiago Abascal. Tanto più che al leader socialista nemmeno è riuscito un basso trucchetto escogitato per salvarsi le terga, quello di far passare il cambiamento climatico come spesa per la Difesa, mettendo tutto in uno stesso calderone in modo da beneficiare della flessibilità fiscale o dei finanziamenti previsti dal piano ReArm Europe. Giusto ieri, in quelle 24 ore da incubo, è arrivata la risposta del Commissario europeo per la Difesa e lo Spazio, Andrius Kubilius che ha avvertito che «la difesa è difesa, e il clima è clima», a meno che Sanchez non voglia donchisciottescamente difendere il suo Paese con le pale eoliche. Finita qui? Macché, perfino il Nobel per la Pace che non è andato a Trump si è rivelata una fregatura per Sanchez, perché finendo al collo di Maria Corina Machado, oppositrice di Chavez prima e di Maduro poi, ha rimarcato come non mai le contraddizioni e le scelte indecenti della sinistra spagnola che ha sempre flirtato con il chavismo venezuelano. Lo prova il fatto che nessuno di quella coalizione, tanto meno il premier, si è congratulato con lei. Un’infamia che rende sempre più indecente il corrotto governo socialista spagnolo.