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Israele, le prime ore di libertà degli ex ostaggi: cos'hanno fatto

di Antonio Castro martedì 14 ottobre 2025

4' di lettura

«Siete a casa». Dopo 738 giorni di prigionia in mano ai miliziani di Hamas i 20 sopravvissuti rapiti il ​​7 ottobre 2023 sono tornati a casa. Nelle piazze di Israele, nelle sinagoghe di tutto il mondo, in ogni angolo del pianeta anche la più piccola delle comunità della diaspora ebraica gioisce. La promessa è mantenuta: Israele non abbandona i suoi figli. Chiunque sia stato possibile rintracciare è stato riportato a casa. Dai suoi cari, da una comunità che da due anni ha vissuto con il fiato sospeso. Di buona mattina - in extremis proprio per celebrare l'ultimo giorno della festività religiosa di Sukkot (coincisa con il ritorno in Israele dei rapiti) - i mezzi della Croce Rossa internazionale prelevano i primi 7 ostaggi. Poi li affidano alla responsabilità dell'Idf e degli uomini dei servizi dello Shin Bet. È forse il giorno più delicato, dei tanti che sono scivolati via in questa che è stata la guerra più lunga dalla costituzione dello Stato di Israele.

Nulla è lasciato al caso. Tutto può ancora incepparsi. Portare a casa i venti sopravvissuti nelle segrete sotterranee di Hamas è l'atto finale di un impegno preso con tutti i cittadini israeliani: nulla verrà lasciato di intentato per riportare a casa ogni singolo cittadino. È un impegno che non vale solo per chi svolge il servizio militare obbligatorio (3 anni per i ragazzi, 2 per le ragazze). Ma una responsabilità della nazione che fa da base alla tenuta della comunità israeliana. Nella piazza centrale di Tel Aviv (ribattezzata Piazza degli Ostaggi) una folla di oltre centomila persone si accalca e canta, piange, balla e gioisce con acclamazioni che si trasformano in un boato quando i maxi-schermi diffondono le immagini dei primi ostaggi rilasciati. I 20 rapiti - rilasciati in due tranche e portati subito nella base militare di Reim per i primi controlli sanitari e gli incontri “protetti” con i familiari. Gli ufficiali sanitari dell'Idf hanno accertato che affrontano il breve trasferimento in elicottero verso i diversi ospedali attrezzati in tutto il Paese per le cure, la riabilitazione, le singole terapie.

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Poi gli elicotteri militari via via si sono sollevati, sorvolando come gesto d'omaggio le spiagge di Tel Aviv, la pizza dove ad ogni passaggio un boato di gioia. Grida di giubilo per aver constatato di persona che quello che vedevano scorrere sui maxi schermi corrispondeva alla liberazione. Alla fine di un incubo. Per i religiosi, per israeliani tutti ieri sera corrispondeva con l'inizio della festività di Simchat Torah. Coincidenza che riporta alla memoria l'assalto al Nova Festival e della mattanza. Poi è tutto un fiorire di delicati, struggenti, emozionanti particolari. Ogni storia è un dettaglio, una icona di questi due anni di storia terribile. C'è l'abbraccio tra Matan Zangauker e la madre Einav, tra le più strenue sostenitrici di un accordo per la liberazione dei rapiti. Al colmo della felicità, la donna, divenuta tra i volti più conosciuti del Forum dei familiari dei rapiti, riesce a ripetere solo “vita mia, vita mia...”.

E poi c'è Zvika Mor, leader del minoritario Tikva Forum, paladino della linea dura contro i precedenti accordi, che string singhiozzando il figlio Eitan, senza riuscire a parlare, sotto lo sguardo della madre Efrat. Alcune istantanee di questi intimi momenti catturati dai cellulari dei familiari, pur dai militari commossi che li hanno presi in consegna, fanno rapidamente il giro del mondo. Come non commuoversi alla vista dei pochi frame diffusi di Omri Miran che in ospedale gioca con le sue due figlie piccole, per la prima volta dopo 738 giorni di prigionia. E poi c'è Alon Ohel, musicista, tornato dalla prigionia con gravi danni all'occhio destro, che si abbandona ai tasti di un pianoforte approntato proprio nell'ospedale dove è stato portato dopo il rilascio. E non è un caso. Glielo hanno fatto trovare i familiari in corsia. Hanno insistito perché lo trovasse subito nel reparto. Il pianista di Lavon, rapito dal “rifugio della morte” a Re'im dove trovarono la morte numerosi ragazzi che visi erano riunchiusi sperando di salvarsi, è rimasto incatenato nei tunnel dei terroristi di Hamas.

E per non cedere allo sconforto, continuava a “suonare” nell'aria. Probabilmente per dare una parvenza di normalità chiudendo gli occhi, e una situazione che diversamente lo avrebbe portato ad arrendersi. C'è un motivo: la famiglia in questi due anni ha donato pianoforti in tutto il mondo per sensibilizzare l'opinione pubblica. Perché non sfuggisse alla memoria neppure per un giorno il rapimento del proprio caro. E degli altri rapiti. La giornata storica, celebrata come l'inizio in tutto il Medioriente di una “pace eterna” (copyright Donald Trump). Ma le promesse di pace a favore di telecamera, a Gerusalemme come in Egitto, non tralasciano il superamento degli errori compiuti per aver lasciato aperto un varco in quella terra che Israele reputava di aver reso impermeabile ad attacchi del genere. Chiusa la parentesi del conflitto inizierà la ricostruzione. Poi sarà il tempo della politica. Delle assunzioni di responsabilità. Delle critiche.

Ma ora è il giorno della gioia. Senza dimenticare. Lo definisce come un «percorso di liberazione lungamente anelato», scandisce da Roma la presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Noemi Di Segni, leader storico della più antica comunità ebraica d'Italia. Insomma, siamo «consapevoli che una fase di orrore è alle spalle e si sta scrivendo il futuro». Ribadendo che il ritorno è «tanto più significativo anche per la coincidenza del loro rientro con la preghiera solenne “Hoshaan” nelle sinagoghe, con la quale abbiamo invocato la salvezza e perla guarigione da tutte le condizioni umane e ascoltando il suono struggente dello shofar. Preghiere antiche che assumono particolare significato». Poi un appello, l'ennesimo, «alla ragionevolezza e alla lucidità, specialmente da chi governa enti ed istituzioni - locali, nazionali ed internazionali - affinché' cessino gli slogan all'odio e all'annientamento di Israele e che raccolgono la propaganda di Hamas, mentre tutti diano un contributo alla pace».

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