Libero logo

Sergey Lavrov è caduto in disgrazia: rumors a Mosca, la vendetta di Putin

di Carlo Nicolatovenerdì 7 novembre 2025
Sergey Lavrov è caduto in disgrazia: rumors a Mosca, la vendetta di Putin

4' di lettura

Che succede all'irremovibile Sergey Lavrov, il ministro degli Esteri russo che da più di 20 anni gode della granitica stima del suo presidente, senza che mai la sua presenza sia stata minimamente messa in discussione? L'unico ministro, si dice, che può agire in piena autonomia anche negli incontri più importanti, senza per forza consultarsi prima con Vladimir Putin. Eppure all'ultima riunione del Consiglio di sicurezza russo, quella del 5 novembre scorso presieduta dal presidente in persona e trasmessa in diretta televisiva dalla Tv di Stato, lui non c'era. Una riunione che è stata definita storica per via del fatto che Putin, in risposta a una decisione simile del presidente americano Donald Trump, ha deciso di riprendere i test nucleari o, per meglio dire, ha dato mandato di «raccogliere ulteriori informazioni sulla questione».

E a quanto pare Lavrov non sarà nemmeno presente al prossimo vertice del G20 del 22 e 23 novembre come capo delegazione quale è sempre stato in assenza di Putin. Lo ha annunciato il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, sottolineando che il suo posto, in Sudafrica, sarà preso da Maksim Oreshkin e che tale decisione è stata presa dalla più alta personalità del Cremlino. Secondo una fonte citata dal giornale russo Kommersant, il ministro sarebbe stato «deliberatamente assente» al Consiglio, unico tra i membri permanenti, lasciando intendere che sia stato proprio lui a scegliere di non andare, “consigliato” dall'unica persona che può dargli ordini. Forse tale decisione ha innescato anche la seconda, oppure entrambe sono dovute alla stessa volontà di metterlo da parte almeno per un po', con una logica punitiva che applicata su Lavrov è quantomeno sorprendente.

Meloni avvisa i volenterosi: "Per fermare Putin l'Ue segua Trump"

A poche ore dall’annuncio americano sulle sanzioni al petrolio russo, dal varo del 19° pacchetto di sanzioni e...

Ma quali sono i motivi? Tutto sarebbe nato dalla telefonata avvenuta il 21 ottobre scorso con il segretario di Stato americano Marco Rubio che avrebbe dovuto rappresentare un passo decisivo per l'incontro tra Trump e Putin in Ungheria, e invece si è rivelata un disastro. In seguito un racconto telefonata infatti è saltato tutto, con il capo della diplomazia Usa che avrebbe personalmente raccomandato a Trump di annullare l'incontro. La cancellazione è stata seguita anche dall'annuncio delle sanzioni statunitensi contro Rosneft e Lukoil, le prime dal ritorno di Trump alla Casa Bianca. Della telefonata, che non è evidentemente andata secondo i piani previsti da entrambe le capitali, aveva parlato anche Bloomberg, ipotizzando che Rubio avrebbe capito dall'atteggiamento del suo omologo che l'intenzione Cremlino sarebbe stata solo quella di rallentare le discussioni e di trascinare la guerra a oltranza.

La storia tuttavia non è finita lì. In alcune dichiarazioni successive Lavrov, non contento, ha calcato la mano definendo Kiev «un regime nazista» e accusando l'Occidente di voler «riempire nuovamente» le Forze armate ucraine di armi per compiere «attacchi terroristici contro infrastrutture civili russe». E il 26 ottobre ha perfino fatto del sarcasmo, sostenendo che la sua conversazione con Rubio è stata «così buona» che Washington ha deciso di annullare il successivo incontro.
Il giorno successivo però ecco una strana mezza giravolta, non un atteggiamento consueto nell'armamentario del duro ministro, un comunicato in cui ha fatto sapere di sperare «che il presidente Trump continua sinceramente a cercare una soluzione alla crisi ucraina e mantenga l'impegno verso quei principi che sono stati elaborati al vertice di Anchorage, e che sono stati sviluppati sulla base delle proposte americane».

Il ministro ha aggiunto che Mosca non ha alcuna intenzione di attaccare un Paese Nato, ed è perfino pronta a sottoscrivere tale impegno in un accordo sulle garanzie di sicurezza. Il riferimento di Lavrov in tale dichiarazione ai principi emersi dal vertice tra Trump e Putin in Alaska dello scorso agosto è fin troppo indicativo di un tentativo più o meno forzato di cancellare gli effetti di quella maledetta telefonata in cui, con tutta evidenza, si è fatto prendere la mano.

Mosca ha anche tentato di ricucire o di mantenere aperti i canali diplomatici mandando immediatamente a Washington il capo del fondo sovrano russo Kirill Dmitriev, personaggio noto e stimato negli ambienti Maga. Cinquant'anni, laureato a Stanford e Harvard, molto attivo sui social nel commentare gli avvenimenti americani «Good Morning, NYC Comrades!», buongiorno compagni di New York, ha scritto su X a proposito della vittoria di Mamdani -, Dmitriev in passato è stato perfino indicato come possibile ministro degli Esteri in un prossimo futuro.

Certo, è difficile se non impossibile che Lavrov venga rimosso dal suo incarico, silurare lui proprio in questo momento toglierebbe parecchia credibilità e coerenza a tutta la politica russa del nuovo millennio, ma Putin non ha digerito l'intraprendenza, stavolta decisamente fuori luogo, del suo massimo diplomatico, che rischia di aver compromesso una via di uscita dalla guerra molto vantaggiosa per Mosca.

Trump e Putin, salta l'incontro: cosa c'è dietro, l'ira di Mosca

Non ci sarà l'incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin. O perlomeno, non "a breve". Lo afferma al...