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Sarajevo, pagavano per uccidere: l'orrore dei cecchini del weekend

di Susanna Barberinimartedì 11 novembre 2025
Sarajevo, pagavano per uccidere: l'orrore dei cecchini del weekend

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Ci sono orrori che appartengono a un altro secolo ma tornano a mettere in crisi le nostre coscienze: a Milano la Procura ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai motivi abbietti contro ignoti (anche italiani) che, durante la guerra di Bosnia, avrebbero pagato per sparare sui civili di Sarajevo. Non per ideologia, non per convinzione politica, ma per divertimento. Come in un macabro safari.

La definizione che circola nei documenti giudiziari è tanto grottesca quanto atroce: “cecchini del weekend”: gente che, negli anni dell’assedio – tra il 1993 e il 1995 – partiva da diversi paesi occidentali, pagava somme ingenti alle milizie serbo-bosniache e veniva condotti sulle colline attorno alla città per sparare contro la popolazione inerme. Si trattava, scrive il giornalista e scrittore Ezio Gavazzeni, di «turisti della guerra»: uomini facoltosi, appassionati di armi che vedevano nella carneficina un’esperienza adrenalinica.

L’inchiesta milanese nasce da un esposto presentato proprio di Gavazzeni, assistito dagli avvocati Nicola Brigida e Guido Salvini, ex magistrato noto per le indagini sulle stragi italiane. Il fascicolo, affidato al pm Alessandro Gobbis con delega ai Ros dei Carabinieri, è al momento a carico di ignoti ma mira a fare luce su un capitolo che l’Europa ha preferito dimenticare. Nell’esposto, Gavazzeni cita la testimonianza di un ex agente dell’intelligence bosniaca che nel 1993 avrebbe segnalato la presenza di almeno cinque italiani sulle alture intorno a Sarajevo, tre dei quali si dichiaravano esplicitamente tali. Uno avrebbe detto di essere di Milano. Nelle carte compare anche un dettaglio agghiacciante: uno dei cecchini identificati era «proprietario di una clinica privata specializzata in chirurgia estetica». Secondo le testimonianze raccolte, questi gruppi si radunavano a Trieste, dove venivano presi in carico da intermediari delle forze serbo-bosniache di Radovan Karadžic e condotti in Bosnia per “provare” l’ebrezza di sparare dall’alto contro le case e le persone.

Le informazioni, inoltrate allora al Sismi, avrebbero trovato eco in un documento del 2007 depositato al Tribunale dell’Aja durante il processo al generale Ratko Mladic. In quell’occasione un volontario americano, John Jordan, raccontò di aver visto uomini «che non sembravano del posto, per abbigliamento e armi, guidati da militari locali», e di averli riconosciuti come «tiratori turistici». Non solo. L’ex sindaca di Sarajevo, Benjamina Karic, ha inviato alla Procura una relazione sui «ricchi stranieri amanti di imprese disumane», segnalando la presenza di italiani tra i tiratori.

Nell’esposto di Gavazzeni, lungo diciassette pagine, emerge perfino una “tariffa” per le uccisioni: i bambini costavano di più, poi gli uomini in divisa, le donne e infine gli anziani, che si potevano «uccidere gratis». Un listino della disumanità, una perversione economica applicata al delitto. Gavazzeni sostiene che «l’intelligence bosniaca avvisò che c’erano gruppi turistici di cecchini e cacciatori stavano partendo da Trieste». Nel 2022, il regista sloveno Miran Zupanic aveva portato alla luce la stessa vicenda nel documentario “Sarajevo Safari”, raccontando come uomini provenienti da Italia, Stati Uniti, Canada e Russia pagassero per “giocare alla guerra” sparando sui civili. Secondo i servizi bosniaci, dietro il traffico si nascondeva il servizio di sicurezza statale serbo, con la copertura logistica della compagnia charter Aviogenex, e l’organizzazione diretta di Jovica Stanišic, poi condannato per crimini di guerra nell’ex Jugoslavia. Oggi, trent’anni dopo, la giustizia italiana tenta di chiarire questa orribile storia. Non sarà facile. Le prove sono fragili, i testimoni dispersi, i nomi sfumati nel tempo. Ma il solo fatto che un procuratore milanese voglia indagare su questa pagina rimossa è già un passo verso la verità. Non solo giudiziaria, ma civile.

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