L’Unione Europea batte un colpo sul sostegno all’Ucraina nella guerra contro la Russia. Con una giravolta riesuma e applica, senza saperlo o probabilmente vergognandosene un po’, un concetto attribuito a Giovanni Giolitti che esprime il cinismo del potere e della politica: la legge si applica ai nemici e si interpreta per gli amici. Se ad Archimede bastava una leva per sollevare il mondo, ma non poteva averla nonostante le ferree leggi della fisica dalla sua parte, all’Ue basta un cavilletto cesellato nel laboratorio dei legulei a 12 stelle per aggirare il diritto e invocare l’art. 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea fuori dal dogma dell’unanimità. Con il voto di 25 Stati (2 i contrari) è stato sancito, non senza resistenze e legittimi dubbi, in particolare da parte di Belgio e Italia, il divieto di trasferire i beni congelati alla Banca centrale della Federazione Russa, senza doverlo rinnovare ogni 6 mesi all’unanimità e semplificando le procedure di prestito all’Ucraina basandole su quanto l’Ue approverà nel Consiglio d’Europa del 18 dicembre.
Gran parte di questi beni, 190 miliardi, è in mano belga e il premier Bart De Wever ha dichiarato che utilizzarli per finanziare l’Ucraina sarà arduo ma possibile se il concerto europeo suonerà lo stesso spartito. Il segnale, che Bruxelles ritiene forte e chiaro, è a Mosca e soprattutto a Vladimir Putin, il dominus della mattanza interslava. Duecento miliardi di euro russi appaiono così come una garanzia di ossigeno alla boccheggiante economia di guerra di Kiev (con tre mesi di autonomia che non tengono neppure conto del ricambio al fronte dei soldati) e della ricostruzione delle zone all’interno delle nuove frontiere tutte da ridisegnare. La mossa spingerà verosimilmente ancor di più l’uomo del Cremlino a chiudere la partita il prima possibile, fornendogli altresì un ulteriore atout con l’opinione pubblica interna rafforzando la linea della propaganda contro i “cattivi” occidentali.
Tanto le perdite subite e inflitte a quella latitudine non sono mai state un problema etico (il 30% dei volontari è già caduto), l’ex stranemica America soffia a favore e quindi persino il vento burian può spazzare senza ostacoli l’Europa. Trump vuole l’accordo di pace propedeutico a qualsiasi discorso sugli aiuti all’Ucraina, e tutto è visto in chiave postbellica, quando si faranno gli affari veri e i debiti dovranno essere pagati. Il grimaldello di Washington è doppio: fa leva sugli accordi stipulati con l’Ucraina durante la guerra, con la bilancia dalla parte statunitense, e sulla chiusura dei rubinetti del credito illimitato per gli armamenti. Bruxelles ha invece aperto con destrezza la serratura della cassaforte contenente gli asset russi mettendo in fila gli zeri dei duecento miliardi, da maneggiare però con molta cura. Ha dovuto arzigogolare per scrollarsi di dosso il principio dell’unanimità a 27 ma per apparire più forte si è indebolita: per il precedente e per le ripercussioni. Da finto monolite della pachidermica creatura venuta su a forza di aggiunte (alcune delle quali su ispirazione americana) e lieviti speranzosi (con le liste d’attesa), a reale convitato di pietra nei rimescolamenti di potere. L’Ue qualcuno doveva irritare, e ha irritato la Russia; qualcun altro doveva illudere, e ha illuso l’Ucraina; qualcun altro ancora doveva deludere, e ha deluso gli Usa. L’Europa che una volta dava le carte al tavolo internazionale, adesso guarda il gioco senza poter puntare, perché neppure le fiches sul piatto sono le sue.