La Francia è il Paese europeo con il maggior numero di cittadini di confessione musulmana, il più colpito dal terrorismo di matrice jihadista e da quel fenomeno più silenzioso ma altrettanto nefasto che il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, ha definito “separatismo islamista” in un discorso pronunciato nel 2020. Negli ultimi anni, per contrastare l’espansione dell’islam separatista, il governo francese ha inasprito le misure contro gli imam che nei loro sermoni predicano l’odio verso la Francia e sobillano le giovani generazioni alla rivolta contro i valori della République. Il cambio di passo è coinciso con l’arrivo al ministero dell’Interno di Gérald Darmanin, ex fedelissimo del leader gollista Nicolas Sarkozy. Titolare del dicastero più sensibile di Francia dal 2020 al 2024, Darmanin è stato il promotore sia della “loi separatisme” del 2021, che ha rafforzato la lotta contro l’islam radicale introducendo il reato di “separatismo” (prevede una pena di cinque anni di prigione e 75mila euro di multa in caso di minacce, aggressioni o intimidazioni rivolte a un eletto o a un funzionario al fine di sottrarsi totalmente o parzialmente alle regole dei servizi pubblici, di “separarsi” dal quadro normativo repubblicano), sia della “loi immigration” del 2024, che ha introdotto un giro di vite contro l’immigrazione clandestina e facilitato le procedure di espulsione degli imam radicali.
L’ultimo caso, risalente al febbraio 2024, è quello di Mahjoub Mahjoubi, imam tunisino della moschea di Bagnols-sur-Cèze (Gard). Mahjoubi, già oggetto di diverse segnalazioni per sermoni estremisti e apologia di terrorismo, aveva definito il tricolore francese una «bandiera satanica» che «non ha alcun valore agli occhi di Allah» in un video circolato sui social. «Non avremo più tutte queste bandiere tricolori che ci avvelenano, che ci fanno venire il mal di testa», prometteva nel video. In un sermone del 2 gennaio 2024, Mahjoubi elogiava inoltre il jihad e deplorava il fatto che le moschee non producessero «più combattenti come ai tempi del profeta». Stabilitosi in Francia negli anni Ottanta, l’imam era titolare di un permesso di soggiorno valido fino al 2029. Sposato con una donna francese e padre di quattro figli con cittadinanza francese, prima della legge del 2023 che prevede l’espulsione immediata in caso di «violazione deliberata e particolarmente grave dei princìpi della Repubblica», beneficiava di una protezione quasi assoluta.
«L’imam radicale Mahjoub Mahjoubi è stato appena espulso dal territorio nazionale, meno di 12 ore dopo il suo arresto. Ciò dimostra che la legge sull’immigrazione, senza la quale un’espulsione così rapida non sarebbe stata possibile, rende la Francia più forte», commentò Darmanin. Nel luglio del 2024, un imam estremista senegalese attivo nel dipartimento dell’Aube è stato a sua volta espulso dal territorio francese il giorno stesso del suo arresto. «Questo imam afferma nei suoi sermoni che le donne devono restare a casa e che i musulmani non devono mescolarsi con i non musulmani. Non c’è posto per queste persone sul territorio della Repubblica», disse Darmanin.
Anche prima della nuova legge sull’immigrazione, sono stati diversi i casi di espulsione. Nel 2022, la prefettura del Nord si era rifiutato di rinnovare il permesso di soggiorno all’imam marocchino Hassan Iquioussen in ragione delle sue prediche «ostili ai valori della République» e in cui incitava al «jihad armato». Il 28 luglio 2022, Darmanin annunciò l’espulsione verso il Marocco di Iquiossen in applicazione della legge contro il separatismo: espulsione che diventerà effettiva nel gennaio 2023. La stessa sorte toccò nel 2022 al comoriano Mmadi Ahamada, imam della moschea Attakwa di Saint-Chamond (Loira). Dopo una serie di sermoni discriminatori nei confronti delle donne e contrari ai valori repubblicani, gli venne notificato un ordine di espulsione da parte della prefettura: nel maggio 2022, fu spedito nelle Comore, con un biglietto di sola andata.