scelte comuni

Mario Draghi, stoccata all'Ue: "Il debito lo devono fare loro", stanata la trappola degli aiuti

Sandro Iacometti

L'entusiasmo europeista è più vivo che mai. Almeno nella forma. Mario Draghi si presenta alla conferenza stampa al termine del Consiglio Ue di Versailles spiegando che «il vertice è stato un successo» e che non ha «mai visto l'Unione così compatta». Passando alla sostanza, però, il premier ha iniziato a marcare delle differenze che potrebbero diventare un vero e proprio spartiacque nei prossimi mesi tra chi vuole continuare a darsi pacche sulle spalle finché non si tratta di prendere decisioni scomode e chi invece vuole cogliere l'occasione del conflitto in Ucraina per segnare un punto di svolta nella politica della Ue, per iniziare a marciare finalmente uniti. Al premier non sono sfuggiti, ovviamente, i malumori sollevati dalla proposta francese di un recovery bis per fronteggiare la crisi. Mal di pancia a cui ha dato voce il premier olandese Rutte, «spiegando che il tema degli eurobond non è sul tavolo del summit». Una posizione a cui pure Draghi, per non alimentare tensioni, si è allineato. «È prematuro parlare di un recovery di guerra», ha spiegato. Poi però il premier si è fatto due conti, basandosi sui progetti discussi e messi nero su bianco nel Consiglio Ue. Il fabbisogno finanziario dell'Unione Europea per rispettare gli obiettivi di clima, di difesa e una politica dell'energia, ha detto, «va da 1,5 a 2 e più trilioni di euro nei prossimi 5-6 anni». Si tratta di cifre ben più rilevanti del Next Generation Ue. Chi paga? Per Draghi non ci sono molte alternative. Sono somme, ha detto, «che non hanno posto nel bilancio non solo dell'Italia, ma di quasi tutti i Paesi». Quindi, «bisogna trovare un compromesso su come generare queste risorse, su dove trovare queste risorse».

 

Il tuo browser non supporta il tag iframe

 

MESSAGGIO CHIARO
Il messaggio è chiaro: nella trappola degli aiuti di Stato e dell'allentamento del Patto di Stabilità l'Italia non vuole più caderci. Il giochino lo conosciamo: la Ue concede agli Stati membri più spazio sull'extradeficit in nome dell'emergenza, poi, passata la bufera, torna a chiederti il conto con gli interessi, indicandoti la via (tagli e tasse) per rientrare frettolosamente nei ranghi. È quello che accadrà con i numerosi scostamenti varati durante la pandemia, di cui dovremo render conto non appena rientrerà in vigore il Patto di stabilità. Ed è quello che potrebbe accadere se Draghi cedesse alle pressioni dei partiti, che invocano a gran voce (lo ha fatto ieri anche il "draghiano" Giorgetti) la creazione di un fondo a debito per aiutare famiglie e imprese, e chiedesse alla Ue un'autorizzazione che nessuno a Bruxelles, vista la situazione, avrebbe problemi a concedere. Questa volta, però, forse a causa della sfida titanica che la Ue si trova ad affrontare o forse grazie al sostegno forte di Macron, assolutamente allineato sul punto, Draghi sembra intenzionato a cambiare strategia. La Ue si pone degli obiettivi ambiziosi?

 

 

E allora, è il ragionamento, deve farsi carico di trovare i soldi per realizzarli, senza scaricare l'onere sui debiti dei singoli Paesi. Difficile prevedere che esito avrà il tentativo del premier, che già nei giorni scorsi aveva manifestato parecchia insofferenza verso i mille vincoli Ue che impediscono perfino di coltivare un ettaro di grano in più. Ma i tempi sono stretti. Draghi ieri ha tentato di smorzare la tensione definendo «esagerati» gli allarmi di questi giorni sugli approvvigionamenti di cibo ed energia e negando che l'Italia sia entrata in «un'economia di guerra». Allo stesso tempo, però, ha ammesso che «bisogna prepararsi», perché Putin «non vuole la pace» e il «momento di grande incertezza» che stiamo vivendo «desta preoccupazioni per il futuro». Insomma, c'è poco da stare tranquilli. E per superare la tempesta c'è bisogno di una «risposta europea». Non solo sul debito comune, ma anche su tutto il resto: «C'è la necessità di riconsiderare tutto l'apparato regolatorio, dagli aiuti di Stato al patto di stabilità fino alla possibilità di importare i prodotti agricoli». In altre parole, c'è bisogno di una rivoluzione. Operazione impossibile? Forse. Ma solo Draghi, più europeista dell'Europa, può tentare l'impresa.