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Pd, rivolta contro la capolista Kyenge

Cécile non sarà più ministro: ecco i "democrat" che non la vogliono riciclare
di Ignazio Stagno domenica 23 febbraio 2014

Cécile Kyenge

3' di lettura

La scelta sembra che sia nata all’interno della nuova segreteria nazionale del Pd di Matteo Renzi, e appena la voce ha cominciato a circolare, sono iniziati i mal di pancia sul territorio. Il Pd infatti ha in mente di candidare alle europee il ministro uscente per l’Integrazione, Cécile Kyenge.  La notizia era già stata anticipata proprio da Libero oltre un mese fa, quando ancora il governo di Enrico Letta pensava di avere lunghi orizzonti. La novità di ora però è la circoscrizione prescelta: quella di Nord-Est, dove la Kyenge sarà capolista del partito. D’accordo Renzi, l’idea sembra sia stata sposata anche da Deborah Serracchiani, membro della segreteria e presidente della Regione Friuli Venezia Giulia. Inutile dire i motivi, sono abbastanza scontati: una donna, di colore, nel Nord Est, darebbe un’immagine - tanto più alle elezioni europee - di grande modernità per il Pd. Questo piace a chi guida il partito. Piace molto meno invece ai parlamentari che poi fanno i conti con la base del partito tutti i giorni sul territorio.  Quelli del Nord Est quando è iniziata a circolare la voce, a partire dal triestino segretario d’aula Ettore Rosato, non smettono di fare scongiuri. Sanno benissimo che quella scelta è assai difficile da fare digerire agli elettori di sinistra in quelle zone, figurarsi se aiuta ad allargare il consenso in altri serbatoi elettorali. Benissimo una candidata donna, meraviglioso che sia pure di colore. Ma le grandi battaglie della Kyenge - anche se manco una si è tradotta in atti concreti - da quelle parti di Italia non vanno per la maggiore, anzi.  Con una candidatura così, si rischia di fare scorrazzare praticamente tutti gli altri nel serbatoio elettorale Pd. La Lega Nord non avrebbe da chiedere di meglio, ma anche Forza Italia e Movimento 5 stelle sono pronti a partecipare al gran banchetto elettorale.  Il Pd sta disperatamente cercando di organizzare per tempo un muro locale che faccia capire a Renzi & c che non è proprio il momento di quella candidatura, ma deve fare i conti con una certa debolezza e confusione che contraddistingue la situazione del partito in Veneto. Lì la segreteria generale è retta ancora da un avvocato, Rosaria Filippini, che però è in uscita. Il suo posto dovrebbe essere preso per acclamazione da un renziano, il bellunese Roger De Menech (che è pure deputato), e già la cosa suscita più di un mal di pancia in Regione. Da quando Renzi ha preso in mano le redini del partito, i renziani vanno a conquistare le strutture locali e perfino si scoprono candidati naturali alle amministrative senza nemmeno sognarsi di organizzare le tanto lodate primarie. Quelle si fanno ormai solo dove non ci sono renziani di spicco pronti a sedersi sulla poltrona. Negli altri casi vale lo stesso metodo con cui il “capo” ha fatto sloggiare da palazzo Chigi Enrico Letta, rimpiazzandolo al volo: «mi va, e ora mi seggo lì».  L’idea di candidare la Kyenge alle europee era stata prima condivisa anche con Letta, anche nella speranza di allontanare le troppe polemiche sul ministro e di proteggerla per le tensioni sulla sua persona che in molta parte di Italia avevano toni preoccupanti. Era stata anche all’epoca ipotizzata una candidatura nel Nord Est, ma si era pensato più potabile quella come capogruppo nella circoscrizione dell’Italia centrale (Toscana, Marche, Umbria e Lazio), dove il Pd è storicamente primo partito, e i rischi sarebbero ridotti al minimo. Poi è precipitata la situazione del governo, e la Kyenge si è data da fare per cercare una riconferma che al momento sembra impossibile nel suo ruolo, difficile anche come sottosegretario. E così si è tornati all’idea in mandarla in Europa. Ma se partirà dal Nord Est, il rischio di farla restare a casa è davvero altissimo. di Fosca Bincher  

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