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Sallusti, la fosca profezia su Renzi: "Falsa partenza, ora attento ai traditori del Pd"

di Giulio Bucchi domenica 23 febbraio 2014

Alessandro Sallusti

2' di lettura

Fine della luna di miele: tra Matteo Renzi e Alessandro Sallusti è calato un cauto, ponderato gelo. Per settimane il direttore del Giornale ha decantato i pregi del neo-segretario del Pd, capace di rompere indugi e pregiudizi, andare a trattare direttamente con Silvio Berlusconi, mettere all'angolo l'ormai ex premier Enrico Letta e dare una speranza di vera svolta. Il guaio è che da rottamatore Renzi si è voluto fare costruttore, dalla lotta è passato al governo forse in maniera troppo repentina e troppo poco limpida. E la squadra dei ministri nata non senza vero travaglio al Quirinale convince per nulla Sallusti. "La montagna partorì il topolino", esordisce nel suo editoriale, parlando non di "brutta partenza", semmai di "falsa partenza". Più che il Renzi uno, pare un "Letta Due, o se volete un Napolitano Tre". Renzi "non è riuscito a rottamare il sistema governo con la stessa velocità con cui ha rottamato prima il Pd e poi Letta". Niente "rivoluzione copernicana, dunque", ma un pasticcetto molto democristiano. Altro che "cambiare verso". Le buone notizie, secondo il direttore di via Negri, si limitano alla cacciata dei ministri Kyenge e Saccomanni. Tuttavia, "all'Economia arriva un fan della patrimoniale (Pier Carlo Padoan, ndr) e al Lavoro un comunista (Giuliano Poletti, ex presidente delle Coop, ndr)". Tempi bui si annunciano. Anche perché la maggioranza, sottolinea Sallusti, "è composta da nove tra partiti e partitini", che finora vanno d'amore e d'accordo perché "c'è ancora da spartirsi la grande torta dei sottosegretari". Nonostante il manuale Cencelli consultato attentamente del anuovo premier soprattutto per accontentare tutte le ali del Partito democratico, Renzi farà bene a guardarsi proprio dal fronte interno. E' lì, spiega Sallusti, che si annideranno i focolai di quella "cappa di intrighi e tranelli" che hanno affossato prima Mario Monti poi Letta. "Renzi paga caro l'aver voluto andare a Palazzo Chigi senza aspettare una legittimazione elettorale", e soprattutto si ritrova in Parlamento un partito pieno di bersaniani e lettiani, perché uscito dalle elezioni 2013 e non dal "nuovo corso" renziano. "Parte del suo partito e alleati propensi al tradimento non gli mancano", conclude Sallusti, a cominciare dalla trattativa con Berlusconi sull'Italicum che se fosse sabotata potrebbe far saltare tutto. "Auguri, Renzi, ne vedremo delle belle".

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