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Caso Aldrovandi: il fratello Stefano, insensato ritorno in servizio dei poliziotti

venerdì 31 gennaio 2014

1' di lettura

Bologna, 30 gen. - (Adnkronos) - "Mio fratello è morto a pugni, calci e manganellate per mano di 4 violenti in divisa non pentiti. Tali responsabili riprendono il loro lavoro dopo una condanna di omicidio. La domanda è sempre la stessa: che senso ha?". E' quanto scrive in un post su Facebook, Stefano Aldrovandi, fratello di Federico, il ragazzo ucciso nel 2005 a Ferrara, a soli 18 anni, durante un controllo di polizia. Morte per cui sono stati condannati in via definitiva, per eccesso colposo in omicidio colposo, 4 uomini della locale Questura.  "Fin da bambino e da adolescente la violenza fisica mi ha sempre turbato; addirittura con una scena forte ma di finzione nei film alla tv, capitava che cambiassi canale - racconta Stefano sul suo profilo - provavo un senso di fastidio sapendo che erano cose che potevano succedere davvero". "Non riuscivo a concepire - aggiunge - il perchè una persona arrivasse ad usare le sue mani, i suoi piedi, la sua ferocia per fare del male a un'altro essere vivente". "Mi dicevo: 'che senso ha?' - conclude il fratello di Federico Aldrovandi - Oggi io penso che chi usa la forza in maniera consapevole e provocando dolore senza pentirsene è una persona deviata e non si merita comprensione da nessuno".  

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