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A noi più tasse, alla Casta altro denaro

Dalle pensioni dei politici esentate dal prelievo di solidarietà ai montiani che fanno il gruppo e prendono i fondi senza avere i numeri. Poi parlano di Parlamento a dieta...
di Giulio Bucchi sabato 30 novembre 2013

4' di lettura

A noi l’Imu, a loro i soldi. Proprio così: non è vero che sulle prime case non di lusso non si pagherà l’odiosa imposta municipale unica, come ci ha promesso il governo: la tassa sulla casa di abitazione la dovremo versare in oltre ottocento Comuni, quelli che hanno adottato l’aliquota più alta, di cui raccontiamo in dettaglio nelle pagine interne. Ma se  le rassicurazioni di Letta nascondono una beffa che ci costringerà a mettere mano al portafogli entro la metà di gennaio, corrisponde invece al vero che la Casta continui a farsi gli affari suoi, come e più di prima. Lo dimostrano alcuni episodi di questi giorni. Primo, quando scoppiò il caso Fiorito, cioè la vicenda del capogruppo Pdl del Lazio che usava i fondi di dotazione messi a disposizione del partito per fare la bella vita, governo e Parlamento annunciarono misure per impedire lo spreco. Basta con lo sperpero delle Regioni, urlarono in coro, promettendo di mettere mano alla normativa e di impedire che i manolesta potessero godere anche di una ricca pensione. Risultato: a distanza di un anno il Corriere ha scoperto che non solo si continua ad andare in pensione con gli stessi requisiti, ma addirittura il fondo che distribuisce vitalizi agli ex consiglieri regionali spende un milione in più invece di un euro in meno. Non è tutto. A proposito di pensioni  c’è un secondo esempio di  diseguaglianza sociale. Come i lettori ricorderanno, pochi giorni fa il governo ha varato con la legge di stabilità un contributo di solidarietà a carico delle cosiddette pensioni d’oro. A parte che approfondendo meglio la questione si scopre che le pensioni d’oro non esistono o, meglio, ne esistono un migliaio, le altre sono pensioni decenti e dignitose (roba da due-tre mila, massimo quattro mila euro al mese, ma sono frutto di tanti contributi versati, come spiegava ieri su Repubblica un lettore con 55 anni di lavoro sulle spalle). Ma la notizia non è che tassano i pensionati che hanno faticato una vita per dare soldi a persone che spesso non si sono spezzate la schiena. La vera novità è che il prelievo che va dal 6 al 18 per cento della parte eccedente i 90 mila euro lordi l’anno non colpisce gli onorevoli, i quali pur guadagnando cifre superiori sono esentati dal pagamento della tassa, perché la loro non è una pensione ma un vitalizio, artificio linguistico che li mette al riparo dalla rapina che loro hanno votato alle spalle degli italiani . Fin qui ciò che riguarda le pensioni,  ma c’è dell’altro, a cominciare dalle spese del Parlamento. Come qualche giorno fa abbiamo scritto, il nostro è il più costoso d’Europa: tra stipendi per gli onorevoli e stipendi per gli impiegati che lavorano nel Palazzo, se ne va una montagna di soldi. Ogni governo e ogni maggioranza promette di tagliare le spese, ma poi a fine anno, quando si tirano le somme, si scopre sempre che si è speso di più. Il motivo è semplice: le vecchie abitudini non muoiono mai, anche fra chi si professa un attento sacerdote del rigore. Un esempio? Al Senato è appena stata introdotta una deroga che consente a Scelta civica (sì, avete letto bene, proprio il partito fondato dal bocconiano Mario Monti) di fare un gruppo anche se non ha il numero minimo di senatori richiesto. Risultato, grazie a questo espediente potrà disporre di fondi e personale a spese di Palazzo Madama, cioè del contribuente, ossia di tutti noi. Gli otto senatori dell’ex rettore, insomma, ci costeranno un botto. Quarto ed ultimo esempio di come a noi tocchi versare l’Imu e a loro, ai membri della Casta, invece vadano i soldi.  Distratti com’eravamo dall’espulsione di Berlusconi dal Senato, ci è passata sotto gli occhi la vicenda della casa del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi. Come forse qualche lettore ricorderà, lo scorso anno scoppiò il caso di un alloggio comprato dal ministro della Funzione pubblica con un maxi-sconto. Quando era membro del Consiglio di Stato, fece ricorso al Consiglio di Stato medesimo per vedere riconosciuto che l’abitazione ai Fori romani in cui risiedeva fosse semi-pericolante e dunque potesse essergli ceduta con congrua riduzione di prezzo. Inutile dire che il Consiglio di Stato gli diede ragione e nel 2008 Patroni Griffi riuscì a comprare la stamberga vista Colosseo di metri quadri 109 al prezzo di 177 mila euro. Peccato che, secondo  il Fatto quotidiano, nonostante la crisi del mercato immobiliare  abbia ridotto i prezzi, il sottosegretario abbia recentemente venduto l’immobile alla cifra di 800 mila euro, con una plusvalenza di 623 mila euro.  Soldi che Patroni Griffi si è messo in tasca senza versare un euro alle casse dello Stato perché, mentre i Comuni tartassano i possessori di prima casa pretendendo l’Imu anche se l’abitazione è gravata da un pesante mutuo, chi vende, nonostante abbia guadagnato centinaia di migliaia di euro, non è tenuto a sborsare alcunché. Insomma, il contribuente che si è indebitato con le banche per comprar casa paga le tasse, quello che vende e si mette in tasca una ricca plusvalenza, come nel caso dell’ex ministro, se la gode. E poi dicono che la Casta si è messa a dieta...  di Maurizio Belpietro twitter @BelpietroTweet  

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