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Aborto, tornare indietro si può: la vita prima di tutto

Il commento: la secolarizzata Spagna si ribella e torna sui suoi passi. Il diritto di un bambino di nascere deve prevalere sulla libertà di ucciderlo
di Giulio Bucchi domenica 29 dicembre 2013

2' di lettura

C’è un punto in cui, superato il limite dell’abuso della libertà, la natura umana reagisce. Talvolta, anche un corpo malato è in grado di attivare degli anticorpi. Così anche una società secolarizzata come quella spagnola conquista la consapevolezza della propria condizione e vede, alla radice della sua crisi, un problema morale che ha conseguenze sulla sopravvivenza stessa del corpo sociale. È la crescita zero, dal punto di vista demografico, che genera la recessione economica. C’è un rapporto di causa ed effetto, in Europa, fra i due milioni 864.649 aborti praticati nel 2008 (sono gli ultimi dati statistici disponibili) e il declino del Continente. Se, per sconfiggere la prima causa di mortalità, le istituzioni se ne preoccupassero come per il tabagismo, l’alcolismo o la tossicodipendenza, probabilmente la battaglia per il rispetto della vita otterrebbe migliori risultati. In realtà, quando un governo innesta la retromarcia, finisce per essere accusato dai mezzi d’informazione di voler tornare ai tempi bui. Ora che anche il Parlamento europeo ha bocciato il rapporto Estrela, negando così che l’aborto sia un diritto, monta la rabbia di chi è convinto dell’impossibilità di cambiare il corso della storia. Ieri, La Repubblica, dimenticando per un istante la distinzione fra la cronaca e il commento, ha descritto la proposta di legge del governo presieduto da Mariano Rajoy come «il trionfo della maggioranza silenziosa che è tornata ad indicare l’autoritarismo come linea guida del paese». Una breve lezione di storia sull’argomento potrebbe aiutare a riflettere chi teme per i diritti delle donne e trascura quelli del nascituro. Il primo Stato a introdurre l’aborto è l’Unione Sovietica nel 1920, sotto gli auspici di Vladimir Ilic Lenin. Anche la Repubblica di Weimar lo depenalizza in Germania, ma è il Terzo Reich di Adolf Hitler nel 1933 a integrarlo in un sistema più complesso di selezione razziale. Terza in classifica, la Cina comunista nel 1957 lo favorisce per contrastare una tendenza alla sovrappopolazione che sarebbe poi stata smentita da altre teorie demografiche. Che l’aborto sia storicamente nato come strumento di dominio-sterminio dei regimi totalitari, è un fatto innegabile. Lo prova anche il ripensamento della Russia che nel 2011, un ventennio dopo essersi liberata dal socialismo reale, ha invertito la tendenza. Se prima era utilizzato come un rimedio anticoncezionale, a cui ricorrono circa un milione di donne l’anno, ora una nuova legge ne limita la possibilità alla dodicesima settimana, con alcune eccezioni in caso di complicazioni mediche e di violenza sessuale. Più o meno, è quanto accadrebbe in Spagna se la modifica legislativa, che non introduce sanzioni penali per le donne che abortiscono, fosse approvata. Si salverebbero delle vite, ma si sentirebbero le urla di femministe e socialisti, tutti liberi di esprimere le loro opinioni, al contrario dei bambini la cui voce viene soffocata prima che possano nascere e decidere da soli che vale la pena di stare al mondo. di Andrea Morigi

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