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La ricetta per il sesso perfetto:tatto, udito e gola

Irene Cao prende le distanze dalle Sfumature della James e svela: il mio protagonista si ispira a La Mantia
di Lucia Esposito domenica 29 settembre 2013

3' di lettura

Non sopporta di essere paragonata a E. L. James: «Quando dicono che i miei libri sono la versione italiana di Cinquanta sfumature, mi arrabbio». Irene Cao, autrice di una trilogia erotica per Rizzoli (Io ti guardo, pp. 368, euro 5; Io ti sento, pp. 304, euro 14,90; Io ti voglio, pp. 294, euro 14,90), marca subito le distanze dalla bestsellerista britannica, cui sente di essere lontana nella rappresentazione dei personaggi («Non mi piace la psicologia di Christian Grey e Anastasia Steele. A metà del terzo libro ho smesso di leggere»), nei tempi narrativi («La protagonista vergine diventa una maga del sesso in soli 20 giorni: inverosimile») e anche nella qualità stessa delle sfumature, che in lei non sono né di grigio, né di rosso né di nero, ma di melograno.  I suoi libri confermano il successo del romanzo erotico. Come spiega questo fenomeno? «Credo che molte persone si rispecchino in quanto scrivo. Alcune lettrici dicono di identificarsi con la protagonista della  trilogia, Elena, una donna che si trova al bivio tra Filippo, partner premuroso e rassicurante, e Leonardo, una forza della natura. E poi c’è la voglia di evasione e di rottura dei tabù. Visto che il sesso è qualcosa che si conosce già nella routine, comprare libri simili diventa il vero gesto trasgressivo. In questo va dato merito alla James: ora tutti leggono i romanzi erotici con molto meno pudore di quanto non si facesse prima con gli Harmony».  Insomma si scrive e si legge di sesso, perché non se ne fa più? «Non so se da noi se ne faccia poco o troppo. Di certo il libro può essere uno stimolo a farlo meglio. Non a caso, ho descritto un modo tutto italiano di fare l’amore. Sono ancora convinta che noi lo facciamo meglio». A proposito di italianità, nella trilogia lei attraversa la Penisola, ambientando la storia prima a Venezia, poi a Roma, infine a Stromboli. È la metafora di una progressiva discesa nel fuoco della passione? «È soprattutto un omaggio al nostro Paese, un viaggio erotico che diventa anche un percorso geografico. Quanto a Venezia, mi piaceva l’idea di rompere il cliché che la vuole città romantica per eccellenza. Stromboli è invece il luogo di origine del protagonista maschile, Leonardo, e indica il richiamo della terra e delle pulsioni primitive». Un elemento determinante è la cucina: Leonardo è uno chef e la sua seduzione passa dalla gola. Ha voluto così omaggiare il rilievo assunto dalla gastronomia nei nostri programmi tv? «Desideravo soprattutto mostrare la capacità del sesso di coinvolgere tutti i sensi. Elena, come indica il titolo del primo romanzo, Io ti guardo, è convinta che il mondo si colga soltanto attraverso gli occhi. Leonardo le fa invece capire che esistono altre dimensioni, tattili, olfattive e gustative, che offrono la pienezza dell’esperienza intima. Simbolo di questa compartecipazione è il melograno». Il melograno? «Sì, Elena, che è una restauratrice, è impegnata a ridipingere un melograno all’interno di un affresco antico. Ma non riesce a renderne i colori autentici, finché Leonardo, bendandola, non le fa sentire il rumore di un melograno che si spezza e le fa assaggiare i suoi semi. Solo allora Elena potrà rappresentare il frutto nelle sue sfumature». Leonardo è un seduttore che cucina e mangia, metaforicamente, i cibi e donne. Dovesse paragonarlo a uno chef di moda, a chi lo assocerebbe? «Molti credono che mi sia ispirata a Carlo Cracco, per il suo personaggio. In realtà Leonardo è simile a Filippo La Mantia. Per una sorta di paradosso, Leonardo ricorda Filippo, che è il nome del suo antagonista nel libro». Il girare di città in città della protagonista e il legame tra sesso e cucina sono anche i temi fondamentali del romanzo Mangia, prega, ama. La Gilbert l’ha ispirata più della James? «È probabile che ci sia un’influenza. Ma se dovessi indicare un modello di riferimento, lo troverei nei classici dell’800 come Jane Eyre. Se Charlotte Brontë avesse scritto quell’opera oggi, probabilmente non si sarebbe fermata sulle soglie della camera da letto». di Gianluca Veneziani

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