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Pdl via dal governo, così il Cavaliere ha deciso lo strappo

Il ritiro dopo un confronto con i falchi e la figlia Marina. I ministri accettano ma non firmano un documento anti-Letta preparato da Capezzone. Il motivo ufficiale: l’aumento dell’Iva
di Matteo Legnani domenica 29 settembre 2013

4' di lettura

Silvio Berlusconi ordina le dimissioni dei ministri del Pdl. È l’anticamera della crisi di governo. La fine delle larghe intese. Le elezioni anticipate. O, almeno, questi sono i suoi auspici.  Prende tutti in contropiede, il Cavaliere. Anche i suoi. A partire dalla delegazione ministeriale azzurra. Che, dopo le urla e i litigi del gabinetto di venerdì sera, si aspettava un sabato di decantazione. Una pausa per far sbollire la rabbia e decidere a freddo la strategia in vista del “chiarimento” parlamentare della settimana entrante.  Invece: quel telefonino che squilla, foriero di un ordine perentorio: abbandonare i ministeri. Passo propedeutico, nella testa di Silvio, alla sfiducia in Parlamento.  I ministri si piegano ma non sono d’accordo. Ed è un dissenso che potrebbe contagiare molti parlamentari, scontenti per le modalità con cui l’ex premier ha deciso e annunciato lo strappo.  Ma come è andata? Torniamo a venerdì notte. Si è appena concluso un drammatico consiglio dei ministri, in cui Enrico Letta ha deciso di congelare il provvedimento anti aumento dell’Iva in attesa di un chiarimento parlamentare. Da giorni, da quando il Pdl ha deciso le dimissioni di massa dei parlamentari, si è innescato un gioco al rialzo. A chi minaccia di più. Il premier annuncia di volersi presentare alle Camere col suo programma per dire: prendere o lasciare. La delegazione azzurra domanda che tra le priorità sia inserita la giustizia, ricevendo solo picche. Il tutto si conclude con le parti che si mandano a quel paese. Il cdm finisce, i ministri si chiudono nell’ufficio di Alfano e chiamano Berlusconi. È tardi. Silvio ha fatto rientro ad Arcore. Apprende da loro l’aut aut lettiano. La cosa lo fa innervosire. Ma il capo del governo sta offrendo un alibi invitante al Cavaliere per aprire la crisi: «Aumenterà l’Iva? Dunque è saltato il patto di governo, non ci sono più vincoli». Sullo sfondo, è chiaro, c’è la vicenda della decadenza da senatore di Silvio e l’intenzione del Pd di non fare sconti all’alleato di governo. Insomma: Berlusconi fa capire ai ministri che ci può essere un nuovo spezzone di corda da tirare, fino a spezzarla. Ma rimanda all’indomani per prendere eventuali decisioni.      E si arriva a ieri. Ai telefonini ministeriali che squillano. Ma non per la convocazione di un vertice: è già tutto deciso. Silvio ha riunito a villa San Martino il consiglio di guerra. Aveva già in mente di strappare, pertanto si è guardato bene dal consultare chi lo avrebbe potuto fermare: le colombe.  Raccontano che la decisione sia stata presa in due successive riunioni. La prima con Daniela Santanchè e Denis Verdini, convocati ad Arcore per l’organizzazione della manifestazione del 4 ottobre (convocata in contemporanea con il voto della Giunta per le elezioni sulla decadenza). La seconda allargata a Sandro Bondi e Niccolò Ghedini. Pare che l’avvocato, tornando a paventare il rischio di una richiesta di custodia cautelare in arrivo dalla procura di Napoli, sia stato determinante nello strappo di ieri. L’accelerazione ottiene anche il placet  della figlia Marina, sempre presente nel corso della delicatissima giornata: «Il Paese vive una crisi molto importante», ammette la primogenita parlando in serata. Con l’appoggio dei falchi e della famiglia, Silvio assume la drammatica deliberazione. Comunicata solo a cose fatte ai ministri. Non solo. Berlusconi avrebbe anche chiesto alla sua delegazione al governo di sottoscrivere un durissimo documento anti Letta e anti sinistra preparato da Daniele Capezzone. Ma i ministri si sono rifiutati. Limitandosi ad accettare la decisione del leader senza aggiungere carichi polemici.  Sono passate le cinque del pomeriggio quando le agenzie di stampa battono la nota del Cavaliere. «La decisione assunta dal Letta di congelare l’attività di governo determinando in questo modo l’aumento dell’Iva è una grave violazione dei patti su cui si fonda l’esecutivo, contraddice il programma presentato alle Camere dal premier e ci costringerebbe a violare gli impegni presi con i nostri elettori durante la campagna elettorale».  È pertanto colpa del capo del governo e del suo “passo falso” se Berlusconi si vede “costretto” a chiedere «alla delegazione dei ministri del Pdl di rassegnare le dimissioni». È proprio Enrico il bersaglio di Silvio, stavolta il Quirinale non c’entra: «Ha sbagliato tutto, i toni e la sostanza», si è sfogato, «doveva fare un governo di pacificazione e non l’ha fatto. Ha insistito nel voler distinguere il piano politico e quello giudiziario. E alla fine si è pure schierato dalla parte di Napolitano contro il Pdl, quando dovrebbe dire grazie a noi se sta a Palazzo Chigi». Alla lunga il Cavaliere, stufo di «quel saccente che è il nipote di Gianni», ha emesso il verdetto: pollice verso.   Una mossa che, nei piani di Silvio, accelera il ritorno alle urne e allontana la sua decadenza da senatore. «Faremo campagna elettorale sulla sinistra che aumenta le tasse», annuncia. Ed è sicuro che nessun parlamentare azzurro si presterà a manovre di Palazzo: «Ho in mano le loro dimissioni, non credo ci saranno defezioni. Solo io posso garantire a deputati e senatori uscenti la  rielezione». di Salvatore Dama

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