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Facci: su Caselli-Grasso il Fatto quotidiano sbugiarda Travaglio

L'ex toga Tinti sul quotidiano: "Grasso aveva più voti al Csm, avrebbe vinto anche senza la legge". E il vicedirettore lo ignora
di Giulio Bucchi domenica 31 marzo 2013

Facci e Travaglio

2' di lettura

  di Filippo Facci   Povero Travaglio, guardate che cosa ha scritto ieri: «Chi vuole giornalisti cantori che suonano la viola del pensiero sotto il balcone dei potenti può cambiare giornale». Ditegli che la viola del pensiero non si suona, perché è un fiore primaverile. Lui voleva dire l’arco, lo strumento musicale  con voce di contralto o di tenore: quello che lui è di Ingroia o di Grillo, secondo partitura o verbale. Ma forse la sua papera, sul Fatto Quotidiano di ieri, era un omaggio al destinatario della sua polemica: Adriano Celentano.  Il nuovo bersaglio - Travaglio l’ha scelto come nuovo importante bersaglio (il prossimo, probabilmente, sarà Gianni Morandi) dopo che il pensoso cantante l’aveva criticato per l’inutile piazzata messa in piedi contro Pietro Grasso e risoltasi con la consueta figura da scarabeo stercorario.  Giovedì sera l’Ugo Intini di Ingroia è tornato ad attaccare il neo presidente del Senato (con argomenti che Grasso e altri avevano già ampiamente confutato, peraltro) e si potrebbe pensare che abbia deviato su Celentano perché nessun altro ha raccolto la sua preziosa polemica: ma non è neanche vero.  Specchio per le allodole - Sullo stesso numero del Fatto Quotidiano di ieri in cui Travaglio saltellava sul molleggiato, imboscato a pagina 18, l’ex magistrato Bruno Tinti infatti rispiegava come e perché Travaglio dice cazzate.  Dopo una spiega tecnica che vi risparmiamo, Tinti conclude: «La legge contra-Caselli fu espressione di violenza politica incostituzionale», circostanza mai negata, «ma Grasso non fu nominato Procuratore Antimafia per via di quella legge. Lo sarebbe stato comunque, perché la maggioranza del Csm avrebbe votato per lui. Per questo i suoi sostenitori fecero l’impossibile per completare la procedura: volevano impedire che la sua nomina fosse imputata a un illegittimo intervento della politica. Come invece è avvenuto. Ingiustamente».   Insomma, il contrario perfetto di quanto malamente sostenuto da Travaglio - e già ampiamente confutato, ripetiamo - col dettaglio ulteriore che Travaglio non replica né - come al solito - si confronta con Tinti né chicchessia: preferisce scagliarsi in prima pagina contro un polemista di pari livello, Adriano Celentano, e confinare l’intervento del suo amico Bruno Tinti a pagina 18, dopo un’intervista a Ficarra & Picone.  Preferisce suonarsela da solo, l’eroe, perché lui deve «dire ciò che sa», «raccontare in perfetta solitudine la biografia della seconda carica dello Stato», «dare notizie vere e documentate», «solo a scrivere queste cose». Suonarsela con la viola del pensiero, ovviamente.      

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