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Si ammazzano tra di loro e vorrebbero governare

Dossier, imboscate e sberle pubbliche: i democratici, dilaniate dalle faide, usano l'elezione del capo dello Stato per governare i conti. Ma giocano con la pelle del Paese. Meglio votare
di Nicoletta Orlandi Posti domenica 21 aprile 2013

4' di lettura

di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Macché sinistra, qui abbiamo a che fare con i sinistrati, cioè con i sopravvissuti a un terremoto che ha scosso fin nelle fondamenta il Partito democratico, facendo morti e feriti come mai s’era visto prima. Per definire ciò che è accaduto già si sprecano le battute: Pd, Partito deceduto o decimato. Di certo partito distrutto, che da sotto le macerie difficilmente riuscirà a risorgere. Non che ignorassimo quanto l’unità della sinistra fosse una finzione allestita  ad uso e consumo per gli elettori di bocca buona, ma vedere i compagni darsele in pubblico di santa ragione non è uno spettacolo cui si assiste tutti i giorni.  Per di più l’argomento che ha scatenato il sisma è di quelli che si notano. Passare infatti dalla lotta di classe alla lotta per la poltrona è cosa che colpisce, soprattutto se poi la poltrona è una che conta, anzi la più importante che si distribuisce con la conta. E allora, in vista del gran giorno dell’elezione del capo dello Stato, fissato per dopodomani, insieme ai rancori che già serpeggiavano, nell’aria  sono spuntati anche i coltelli. Altro che chiedere ai partiti concorrenti di scegliere il presidente da mandare al Colle in una rosa condivisa. Qui i primi a non condividere niente fra loro sono gli stessi compagni. I quali, appena sono circolati i nomi dei candidabili al Quirinale e le conseguenti esclusioni dei tanti che si credevano papabili, si sono ammazzati fra loro. Ciò cui stiamo assistendo è una strage in famiglia, una faida fra appartenenti allo stesso clan.  La prima avvisaglia del regolamento di conti è stata la notizia filtrata sui giornali una settimana fa e riguardante D’Alema. L’indiscrezione di un coinvolgimento dell’ex presidente del Consiglio nell’affare Serravalle era un agguato teso a uno dei più accreditati partecipanti alla corsa al Colle. Un’imboscata a regola d’arte, a pochi giorni dal voto decisivo per l’elezione.  Ma la guerra non è finita con il tranello a Spezzaferro,  cioè all’uomo forte del Pd:  la pubblicazione della voce era solo l’antipasto della storia. E il resto è arrivato nel weekend, mentre Bersani si affannava a parlare di cambiamento, quasi che l’arrivo del Pd nelle stanze dei bottoni rappresenti di per se stesso una ventata di novità. Neanche il tempo che si spegnesse  l’eco delle sue parole ed ecco giungere la salva del fuoco amico. Dopo giorni di punzecchiature fra lui e il segretario, Matteo Renzi ha alzato il tiro, arrivando a impallinare direttamente due dei candidati di Bersani per il Colle. Primo colpito l’alpino dalla penna rossa Franco Marini. Sindacalista in pensione, transitato direttamente dalla Cisl al Parlamento senza soluzione di continuità, l’ex presidente del Senato è un democristiano di lungo corso, un lupo marsicano abituato alle trappole, ma finire nella tagliola di un altro dc camuffato da Pd deve averlo fatto infuriare non poco. Così dentro il partito si è scatenato un putiferio, con la componente cattolica in piena ebollizione. Non meglio è andata all’altra vittima del sindaco, ossia all’ex capogruppo a Palazzo Madama.  Anna Finocchiaro era in realtà l’asso nella manica di Bersani e per questo la signora si era fatta da parte senza fiatare, lasciando il posto a Zanda: in cuor suo attendeva la ricompensa con lo strapuntino più ambito. E invece che ti fa Renzi pur di buttar giù il muro postcomunista? La liquida come un avanzo della Casta che si fa portare dalla sua scorta a far la spesa all’Ikea. Un affronto. Un insulto. Un’offesa da lavare con il sangue. E dunque, anziché regolare i conti al chiuso nelle stanze del partito, com’era  vecchia regola ai tempi del Pci, la donna che si sentiva  già Presidenta ha risposto al fuoco amico con l’artiglieria pesante, dando a Renzi del miserabile e accusandolo di essere un guastatore che non ha l’anima dell’uomo di Stato.  Così si è scatenata una guerra in piena regola tra opposte fazioni.  Dalemiani contro bersaniani e prodiani. Giovani turchi contro prodiani. Cattolici di sinistra contro cattolici di destra tendenza renziana.  Sconvolto dal conflitto, il partito mai nato - che avrebbe dovuto salvare post democristiani e post comunisti dalla sindrome balcanica, traghettandoli verso un futuro unico -  sta esplodendo. Anzi, la lotta senza quartiere fra persone un tempo unite sotto una stessa sigla lo ha già fatto esplodere.  Che forse è ciò a cui Renzi aspirava pur di seppellire per sempre la vecchia classe dirigente della sinistra. Sta di fatto che oggi il gruppo con il maggior numero di seggi alla Camera è un partito a brandelli, demolito dai suoi stessi esponenti. Perché, come la storia insegna, nessuno meglio dei compagni è capace di decimare i compagni.  In attesa che si liquidino fra di loro, fra purghe e processi bersaniani, per il bene di questo Paese sarà meglio tornare a votare.      maurizio.belpietro@liberoquotidiano.it

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