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L’invalido civile: trent’anni di lotte per far riconoscere il mio handicap

di Eliana Giusto domenica 24 giugno 2012

3' di lettura

    Prosegue la campagna di Libero sui «giustiziati», cittadini che  si sono trovati con la vita stravolta a causa di lungaggini burocratiche e bizantinismi della giustizia italiana. In redazione sono pervenute decine di storie. Tra quelle pubblicate oggi, la disavventura dell’affittuario di  un condominio costruito non certo a regola d’arte (i particolari nel pezzo a piè di pagina). Per quei lavori mal fatti il costruttore viene condannato, ma le lungaggini del procedimento civile risarcitorio stimolano un condomino a far causa al ministero della Giustizia. Vittoria e rimborso. Allora anche il «nostro» decide di far causa assieme ad altri tre, nello stesso tribunale e con le medesime ragioni. Morale: in due ottengono risarcimento, ma con cifre differenti, mentre lui e un altro perdono e devono pagare le spese. Attendiamo altre vostre storie. Nel 1981 fui dichiarato invalido civile nella misura del 40%, per riduzione della vista, e iscritto nelle liste delle categorie protette. Dopo sei lunghi anni, a ottobre 1987, la Sage spa mi assunse con chiamata diretta con la condizione di presentare il certificato di permanenza dello stato invalidante, per il quale, io stesso, chiesi di essere sottoposto a visita medica collegiale con il risultato che, effettivamente, fu confermata la patologia e di conseguenza la permanenza fu acclarata ma, nello stesso documento, del gennaio 1988, non venne riconosciuto lo stato di invalido civile, da cui l’immediata cancellazione dalle liste delle categorie protette e conseguente perdita di efficacia del provvedimento di avviamento al lavoro da parte dello stesso ufficio. A questo provvedimento feci ovvia opposizione e avviai azione giudiziaria nel mese di ottobre del 1989. Attraverso varie visite peritali il pretore concluse nel 1996 con l’accoglimento di tutte le mie domande condannando il ministero convenuto al ripristino dalla mia situazione con conseguente risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede.  L’avvocatura dello Stato appellò tale sentenza e io, naturalmente, resistetti soccombendo davanti al tribunale di Bari che accolse l’appello in forza di una sopravvenuta norma di legge (del 1994).    Feci ricorso in Cassazione e il pubblico ministero concluse per la cassazione della sentenza del tribunale di Bari rinviando ad altro collegio della stessa corte di Appello. A questo punto il giudice del rinvio (quarto grado di giudizio) entrò nel merito della controversia e accolse le mie domande condannando il ministero. In data 3 maggio 2006 venne pubblicata sentenza definitiva che respingeva in toto il ricorso erariale confermando le sentenze precedenti a mio favore. Da quel giorno sono in attesa di vedere compiuta giustizia con il risarcimento di un danno economico ed esistenziale. Adesso da notizie filtrate sembrerebbe che, a fronte di oltre 24 anni di cause, 5 gradi di giudizio nonché nuovo ricorso per il risarcimento, lo stesso risarcimento si limiterebbe a quanto calcolato in sede di primo ricorso, pari a € 4.500,00 circa. Tenendo conto che solo per i ricorsi in Cassazione a Roma quella cifra è stata spesa già 2 volte e che ci sono gli altri gradi e questo nuovo è facile immaginare come posso sentirmi totalmente beffato da questa magistratura civile che di civile non ha davvero proprio niente.  di Lucio Milella Bari  

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