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Ko in Sicilia, una Crocetta sul Pdl

La sconfitta elettorale rischia di far partire la resa dei conti nel centrodestra. Molti tenteranno di dare la colpa ad Alfano, ma il problema sono tutti i dirigenti e una linea politica incomprensibile
di Andrea Tempestini mercoledì 31 ottobre 2012

4' di lettura

Chissà se adesso capiranno o faranno finta di nulla. Chissà se riconosceranno gli errori oppure, come già è capitato nel passato, tireranno avanti come prima. Io, dovendo scegliere, scommetterei su quest’ultima ipotesi, ovvero che neppure la batosta siciliana basterà a farli rinsavire. Nel Pdl inizierà la caccia ai responsabili, per cercare di dare la colpa a qualcuno. Invece di riflettere su quanto accaduto, la sconfitta sarà presa a pretesto per un regolamento di conti interno, un modo per liquidare una carriera e costruirne altre. Del resto, nel Popolo della libertà gli indizi che portano a ritenere che le cose finiranno proprio come immagino, cioè con la ricerca di un capro espiatorio per poi proseguire come prima, sono molti. E il colpevole cui addebitare tutto, inevitabilmente, non può che essere Angelino Alfano, il segretario del partito. Il quale non solo porta su di sé la responsabilità della scelta del candidato a governatore della Sicilia e la rottura con Gianfranco Miccichè, l’ex luogotenente berlusconiano che ha sottratto voti al centrodestra condannandolo a sicura sconfitta. Non solo, dicevo, ha deciso lui di affidarsi a Nello Musumeci senza riuscire a trovare un accordo con gli ex di Forza Italia, ma ha pure l’aggravante di essere siciliano e dunque di essere stato battuto in casa propria, là dove dovrebbe essere il più forte. Un po’ come se Bersani non riuscisse a imporre un suo uomo neppure in Emilia o a Bettola. Oltre a ciò, Alfano è un colpevole perfetto cui addebitare ogni colpa in quanto è inviso a un bel po’ di berlusconiani e forse anche allo stesso Berlusconi. Da quando il Cavaliere lo presentò al mondo come suo erede, imponendolo segretario contro il parere dei triumviri, molta acqua è passata sotto i ponti. L’asse tra il fondatore e il suo successore non è più quello di un tempo, tanto per intenderci del periodo del lodo per le alte cariche dello Stato. Basti notare come il delfino sia rimasto muto come un pesce dinnanzi alla ridiscesa in campo dell’ex premier dopo la condanna per frode fiscale. Insomma, Angelino è il candidato più probabile al sacrificio che richiede ogni sconfitta. Ieri era girata voce che lui stesso meditasse di offrire le dimissioni, ma la chiacchiera è stata smentita dalle parti di via dell’Umiltà, sede del quartier generale del Pdl, e poi lo stesso Alfano ha provveduto a negarla. Il segretario dunque resta al suo posto, ma nessuno ha detto per quanto. Comunque sia, che cioè l’ex guardasigilli se ne vada o resti seppur dimezzato o osteggiato, la questione non risolve il problema del partito. Non è Alfano che non va, è il Pdl, la sua immagine, i suoi dirigenti nel complesso, che sono arrivati al capolinea. È inutile fingere e cercare di scaricare le responsabilità sul segretario pro tempore. Se anche oggi Angelino venisse rimpiazzato da Berlusconi o dalla Santanchè le cose non cambierebbero. Cacciati i vertici del partito non tornerebbero gli elettori, perché il problema del centrodestra è più profondo, più complesso e riguarda, oltre all’assenza di leadership, l’assenza di una proposta politica credibile. Non si può stare un giorno con Monti e il giorno dopo contro. Non si può prendere le distanze da una politica economica di sole tasse, ma allo stesso tempo sostenerla in Parlamento. Non si può essere favorevoli a liste pulite, ma tollerare e chiudere non un occhio bensì entrambi su alcune candidature. Nella sua negatività (la Sicilia consegnata alla sinistra, un quadro politico frammentato in cui nessuno ha una maggioranza netta) il risultato elettorale di ieri un aspetto positivo però c’è l’ha, ed è che nonostante il disastro del Pdl, nonostante il centrodestra sia riuscito a dividersi e a fare peggio che altrove, gli elettori non sono passati con il nemico. Il Pd vince le elezioni, ma perde i voti, arretrando di cinque punti. Futuro e Libertà, il partito di Fini, non arriva al cinque per cento nonostante Granata, Briguglio e Strano. Sel e l’Italia dei valori arretrano sebbene abbiano candidato una donna della Cgil. E perfino il Movimento cinque stelle, pur diventando il primo partito siciliano, non va oltre il 14 per cento. Significa che chi votava per il centrodestra, cioè la maggioranza dei siciliani, non è andato altrove, non ha cercato nuovi approdi, ma è semplicemente rimasto a casa. Piuttosto che votare questo Pdl e questo centrodestra, gli elettori hanno scelto di non votare. Il che ai miei occhi ha una sola spiegazione: aspettano che tra i moderati ci sia qualcuno che sia presentabile. Insomma, non sono stati i cittadini a tradire, ma chi avrebbe dovuto rappresentarli. Dunque, se questa è la situazione - e non vi è dubbio che lo sia - i vertici del Popolo della libertà scendano dall’Olimpo in cui si sono confinati e dai tacchi a spillo su cui si sono issati e comincino a guardare in faccia la realtà. In poche parole: facciano un programma che sia degno del nome e poi si facciano da parte favorendo il ricambio, prima che a metterli da parte siano i votanti. E non solo in Sicilia, ma anche a Roma. di Maurizio Belpietro

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