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Il rottamatore ha un piano: sabotare le feste democratiche di Bersani

Il sindaco rovina la festa: dopo i grillini altre visite non gradite al festival della salamella. A Padova contestata la Bindi
di Andrea Tempestini sabato 1 settembre 2012

Matteo Renzi

3' di lettura

  di Franco Bechis Il bis è arrivato ieri sera a Padova, dove si è aperta la festa provinciale veneta del Partito democratico. Questa volta non c’erano le truppe grilline contro cui Pierluigi Bersani aveva mandato i suoi giannizzeri come a Bologna e a Torino. Ma truppe fischianti erano. Tutti rottamatori fedelissimi a un Matteo Renzi di passaggio da queste parti, che a gran voce hanno chiesto di levare il disturbo al presidente del Pd, Rosy Bindi, accusata di occupare poltrone dal 1989 e destinata ad essere rottamata per lasciare spazio a forze più fresche. Dopo mesi schiacciato insieme ai principali colleghi del suo partito in quel sostegno acritico a Mario Monti che gli era stato imposto da Giorgio Napolitano, il povero Pierluigi Bersani aveva pensato di respirare finalmente una boccata d’aria gironzolando come una trottola per l’Italia in quelle che un tempo si chiamavano Feste dell’Unità e ora feste democratiche. Un’illusione: ogni giro suo e degli altri leader si sta trasformando in un vero calvario. E ogni volta dietro l’angolo di una festa c’è qualcuno che vuole fare la festa proprio a Bersani. E non in modo particolarmente amichevole. Il tour festaiolo del segretario Pd che finisce ogni volta in padella come una delle celebri salamelle comuniste dei vecchi tempi, è lo specchio più evidente di quanto sia ormai minata la strada che Bersani vorrebbe imboccare per arrivare a palazzo Chigi. Il leader che avrebbe stravinto le elezioni un anno fa e che per paura non ci provò, ora deve guardarsi anche dalla sua ombra. Quel che sembrava facile non lo è più per nulla, né dentro né fuori dal suo partito. I grillini erodono terreno intorno su temi - quali i costi della politica - su cui Bersani è sempre stato impacciato e confuso. La reazione scelta - mandare il servizio d’ordine a tenere lontani gli esponenti del Movimento 5 stelle - invece di prendere di petto gli argomenti e accettare confronti pubblici, si è già rivelata un mezzo disastro politico. E siamo appena all’inizio. Dentro il partito è appena iniziata la lunga scampagnata di Renzi, e si sente già quanto fa male. Nel padovano il sindaco di Firenze ha già fatto una capatina arringando le truppe e arruolando i primi amministratori locali, che ieri si sono presentati in massa alla apertura della festa. Poi lascerà che prima passi Bersani il prossimo 11 settembre e due giorni dopo planerà lui con il suo camper a raccoglierne i resti. Qualcosa di simile è già capitato nel ferrarese, antico feudo di Dario Franceschini, dove i simpatizzanti di Renzi stanno moltiplicandosi per altro usando all’interno del Pd le stesse armi e gli stessi slogan dei grillini. Proprio a Ferrara ha tradito Franceschini l’attuale assessore al Bilancio, Luigi Marattin, che è passato nella squadra di Renzi organizzando la campagna al grido di “uno vale uno”, slogan mutuato dal Movimento 5 stelle che da queste parti è un po’ in sofferenza (Beppe Grillo ha scomunicato i suoi leader storici della zona). Il doppio passo del sindaco di Firenze, che da un lato sventola i buoni principi della cosiddetta “Agenda Monti” senza avere colpa delle pessime prassi realizzate in Parlamento anche con l’aiuto di Bersani, e dall’altro usa molti temi e mezzi cari ai campioni dell’antipolitica, rischia di dare ben poco movimento al segretario attuale del Pd, che sembra incapace di reagire. Al momento Renzi e i suoi non sembrano incontrare opposizione alcuna, salvo quella non proprio efficacissima dei servizi d’ordine. Eppure non sarebbe difficile ai leader Pd chiedere ragione (anche in nome della prassi regolamentare delle primarie) del conto economico del tour del sindaco di Firenze e dei suoi finanziatori. Ancora oggi - a tre anni di distanza - i precedenti delle primarie fiorentine e della corsa a palazzo Vecchio del 2009 non brillano per trasparenza, a partire dalle famose e mai chiarite fatture pagate in loco dall’allora segretario amministrativo della Margherita, Luigi Lusi. Ma ormai, finito in padella ogni sera a rosolare, Bersani sembra incapace di balbettare qualcosa di comprensibile al suo elettorato. Così per quanto lento sia, il fuoco ormai acceso, inesorabilmente lo consuma.  

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