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Facci e le parole di Ciancimino Jr: "Il barbetta Ingroia mi ha arrestato per pararsi il culo"

In una registrazione della Questura di Reggio Calabria il figlio del sindaco mafioso di Palermo spiega gli attriti tra i pm
di Giulio Bucchi martedì 31 luglio 2012

3' di lettura

  di Filippo Facci Era il 22 aprile 2011 e scrivevamo su questo giornale: «L’arresto di Massimo Ciancimino suona quasi come una rivendicazione di proprietà e di competenza, come una mossa possessiva da parte della stessa procura di Palermo che per tre anni l’aveva vezzeggiato e ritenuto più che attendibile». Era un’illazione, certo: ma a pensarla così, scopriamo ora, eravamo in compagnia dello stesso Massimo Ciancimino e di sua moglie Carlotta. In un colloquio tra i due registrato dalla questura di Reggio Calabria il 30 aprile 2011 - avvenuto nella sala colloqui del carcere di Ferrara - i coniugi infatti non sembrano avere dubbi: Ciancimino: «Comunque è stata una cosa anche loro per pararsi il culo». Moglie: «Eh?». «Ciancimino: «Per pararsi il culo... La barbetta è stata». Moglie: « ...per levargliela a Caltanissetta... per non fargliela fare a loro... ».   Difficile pensare che «la barbetta» non corrispondesse al procuratore Antonio Ingroia.  Proprio in quei giorni, peraltro, dopo l’arresto di Ciancimino, sull’house organ di Ingroia - il Fatto Quotidiano - era comparsa una velina dove si tentava di far passare uno schema più o meno simile: vedete?, i pm di Palermo sono gente seria, sono come Falcone quando arrestò il pentito Pellegriti che aveva calunniato Salvo Lima: perciò, adesso che non possono farne a meno, arrestano Ciancimino e continuano a gestirlo come hanno sempre fatto, purché sia chiaro che tutte le cose che lui ha detto sinora continuano a ritenerle buone e a usarle per avvalorare le cervellotiche istruttorie sulla «trattativa». Suonava così. Dall’altra, invece, c’era la procura di Caltanissetta che - assieme al resto del mondo - indagava sulla stragi del 1993 e aveva capito da un pezzo che Ciancimino era uno sparaballe matricolato, un nuovo genere di star mediatica dell’antimafia: il superteste trendly, di casa nei salotti romani come in quelli di Santoro, gradita presenza alle feste dell’Unità come a quelle di Cortina, sempre vestito come un gagà e sempre in procinto - a sentir lui - di riscrivere la storia d’Italia a mezzo di clamorose rivelazioni dimenticate in un qualche foglietto nascosto nella giacca. Inquisito a Caltanissetta, Ciancimino fu arrestato da Palermo quando da mesi le due procure si scannavano alla siciliana, bisbigliando, coi pm nisseni a indagare Ciancimino dopo che l’aveva sparata troppo grossa sul prefetto Gianni De Gennaro. L’incriminazione nissena di Ciancimino, a Palermo, non l’avevano gradita per niente: e sta di fatto che l’indagato, a Caltanissetta, si era sempre avvalso della facoltà di non rispondere mentre a Palermo aveva continuato a straparlare come sempre, cioè a riempire verbali che a Palermo e al Fatto cercavano di salvaguardare: «Non è detto che Ciancimino abbia mentito su tutto», dicevano e scrivevano.  Non potevano certo ammettere che Ciancimino, da oltre tre anni, disegnasse fantasmagorici scenari di cazzate. Avveniva prima ancora che la Procura di Caltanissetta demolisse il teste in quanto «i comportamenti di Ciancimino appaiono inspiegabili alla luce dei più elementari principi della logica».Ma fa niente, Ingroia faceva finta di nulla: «Trovo le conclusioni dei colleghi di Caltanissetta del tutto convergenti con quelle di Palermo... Non mi pare che si possa parlare di divisioni». Non ci sono problemi, come Ingroia ha sostanzialmente detto anche dopo la morte di Loris D’Ambrosio.  

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