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Occhio al piano B: ritorna lo spettro della patrimoniale

Torna l'ipotesi di una tassa su risparmio e proprietà per sistemare le finanze pubbliche
di Andrea Tempestini sabato 30 giugno 2012

4' di lettura

Mentre l’Italia giocava a Varsavia la sua partita per gli europei, da noi si continuava a giocare con i conti dello Stato. Ieri, come un fiume carsico, è riemersa  la patrimoniale.  A rilanciare l’idea di una tassa sui risparmi e sulle proprietà immobiliari, vale a dire un’imposta sulla ricchezza o su quella che si reputa sia tale, è stato Franco Marini. L’ex sindacalista riciclato nel Pd  ha fatto la sua proposta dalle pagine dell’Unità.  «Serve immediatamente una decisione che tagli le unghie al debito. E questa non può che prendere la forma di un contributo straordinario a carico di coloro che hanno patrimoni e redditi di una certa entità».  Marini esorta pure il governo a fare in fretta, a definire presto percentuali, tempi  e livelli oltre i quali imporre il prelievo. Che l’ex capo della Cisl tiri fuori ora l’argomento non è casuale.  Da giorni la politica è in subbuglio, perché dopo aver trascorso mesi a trastullarsi con l’idea che bastasse Mario Monti a salvare il Paese, oggi, con lo spread di nuovo vicino a quota 500, è messa di fronte alla realtà dei fatti. Che purtroppo non è né rosea né tranquillizzante. Mentre si rafforza il rischio che il vertice europeo di Bruxelles si chiuda con un fallimento, si rafforza anche la paura di un tracollo finanziario dell’Italia. (...) (...) Al propagarsi del panico ha contribuito di certo la notizia che, questo weekend, il capo del governo ha invitato i suoi ministri a non allontanarsi da Roma, lasciando trapelare l’ipotesi di un consiglio straordinario a Palazzo Chigi nel pomeriggio di domenica, cioè prima che riaprano i mercati. Un ritorno a mani vuote del presidente del Consiglio dalla riunione europea potrebbe infatti essere accolto assai male dagli investitori internazionali, di qui la probabilità di dover ricorrere a provvedimenti d’urgenza. Quali non si sa, ma le voci che si rincorrono in queste ore sono le più strampalate e forse anche le più improbabili, come ad esempio il blocco momentaneo dei conti correnti, per evitare la corsa agli sportelli in caso di pericoli per l’euro. Di sicuro c’è chi di fronte al peggioramento della crisi, invece di pensare a interventi strutturali sul fronte della spesa, continua a immaginare una facile via d’uscita grazie a nuove tasse.  Franco Marini è tra questi, ma il fronte è assai ampio e in genere lo si trova raggruppato nell’area che va dal Pd a Sinistra e Libertà. Uno come l’ex capo della Cisl, che per una vita ha fatto parte della classe dirigente di questo Paese e con le sue battaglie a favore degli statali ha dato un contributo a metterci in questa situazione, oggi come un estraneo invita a ridurre il debito pubblico, «magazzino imbottito da anni di cattivo funzionamento della pubblica amministrazione». Per  l’ex  sindacalista divenuto presidente del Senato il debito è il tappeto sotto cui è stata nascosta «la polvere di scelte rifiutate, di cambiamenti evitati, di pigrizie pavide ed anche di furfanterie sopportate». Ma dalle sue parole nessuna autocritica, solo l’indicazione di come scaricare sulle spalle del ceto un po’ più abbiente il conto di tanti anni di decisioni sbagliate.  Nemmeno un piccolo mea culpa per una riforma delle pensioni ritardata di anni, sulla cancellazione di quello scalone che nel 2006 il governo Berlusconi, con ministro Maroni, aveva fatto. Neppure una parola sulla difesa sindacale dell’articolo 18, argomento contro il quale si ruppe le corna il Cavaliere nel 2001. Zero commenti sui costi standard per ogni regione messi in naftalina nonostante la difesa della Lega. Nulla da dire sulla riforma del centrodestra che portava al dimezzamento dei parlamentari e che il centrosinistra fece abrogare con un referendum appena vinte le elezioni nel 2006. Marini e come lui tanti altri progressisti dalla memoria corta parlano della «macroscopica  dimensione del debito pubblico», ma non si pentono, non riconoscono gli errori commessi, non modificano la loro opinione a proposito di una spesa insostenibile e di un welfare da rivedere.  Ancora una volta sostengono che per rimettere tutto a posto sia  sufficiente far crescere le entrate. Come? Colpendo gli evasori? No, non si usa più:  dopo trent’anni di parole anche i sassi sanno che ogni governo promette di colpire chi non paga le tasse, ma con mezzo Paese che vive sul nero e l’economia sommersa, poi non fa nulla. Risultato, ecco riemergere la patrimoniale. È  l’idea di una soluzione facile a portata di mano. La convinzione che con un semplice colpo di decreto si mettono a posto i conti, prelevando dai depositi e per tramite delle case degli italiani quanto basta a  ridurre il debito e portarlo a livelli accettabili per i mercati.  È   la solita vecchia tesi che si possa mantenere ogni cosa così com’è – la struttura dello Stato, gli sprechi, le inefficienze, la sanità del mezzogiorno, le clientele – perché tanto alla fine c’è il bancomat dei contribuenti da cui si può prelevare.  Marini, l’uomo che da sindacalista disse no alla modernizzazione dell’Italia e da politico ha dato una mano a smontare le poche riforme che contribuivano ad avvicinarci all’Europa, non sa che la patrimoniale sarebbe il colpo di grazia per il ceto medio e per l’economia di questo  Paese. Non è sfiorato dal sospetto che gli effetti collaterali della nuova tassa sarebbero peggiori del male che vuole curare.  No.  A lui basta consolarsi credendo che ci sia il sistema per mantenere ciò che ha contribuito a creare negli ultimi cinquant’anni.   Non so cosa deciderà Monti domenica: non mi aspetto nulla di buono. Spero solo che non ascolti Marini e i suoi discepoli. di Maurizio Belpietro

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