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Il nostro rigore è quello dei campi di calcio

Mattias Mainiero risponde a Enrico Giangiuseppe
di Mattias Mainiero domenica 27 maggio 2012

2' di lettura

Caro Mainiero, la Merkel ha imposto all’Italia e agli altri Paesi cosiddetti periferici la cura tedesca. Tutti dicono che non funzionerà, che il troppo rigore farà ancora più male di quanto finora è stato fatto. Un esempio, dicono, è la Grecia. E molti altri esempi si potrebbero fare. Io, però, mi chiedo una sola cosa: come mai, se la cura del rigore è destinata a fallire, i tedeschi, che di rigore vivono, rimangono la locomotiva europea? Enrico Giangiuseppe e.mail Una locomotiva ultimamente un po’ sfiatata. Comunque, battute a parte, credo che la spiegazione non sia molto difficile. Innanzitutto, caro Giangiuseppe, proprio come dimostra l’esperienza tedesca, il rigore non funziona subito, tant’è vero che la Germania ha fatto la cura anni fa e solo dopo un po’ di tempo si sono visti i miglioramenti. Purtroppo, gli altri Paesi, i cosiddetti periferici, inguaiati fino al collo, hanno bisogno di una guarigione rapida, o almeno di un significativo miglioramento in tempi brevi. In caso contrario, siamo alle solite: la cura era buona e ha funzionato alla perfezione. Nessun intoppo. Peccato che il malato sia morto. Conferme dallo spread (a livelli berlusconiani, anche se è vietato dirlo), dai continui cali di Borsa, dalla recessione ormai arrivata e dalle mille difficoltà italiane. Così è. Dire il contrario significa avere gli occhi chiusi, o averli aperti e non saper leggere i numeri, catastrofici. Punto secondo: la cura, anche se a scoppio ritardato, in Germania ha funzionato, in Italia, e altrove, rischia di fare danni perché la Germania non è l’Italia, i tedeschi non sono gli italiani. Ricorda? Lutero, Calvino, la riforma, i protestanti. In Francia, i calvinisti furono chiamati ugonotti. Nel mondo anglosassone, puritani. Loro mettono il rigore morale davanti a tutto. Per loro, il peccato è anche una sconfitta sociale. Noi siamo cattolici, porgiamo l’altra guancia, amiamo il perdono. Il carburante delle nostre locomotive è il compromesso. La qual cosa, sia ben chiara, ci impedisce di compiere inenarrabili disastri. Ci permette di fermarci senza eccedere. Ma ci impedisce anche di andare fino in fondo sulla strada del rigore. Arrivati a metà, noi pecchiamo, tanto poi andremo a confessarci e tutto ritornerà come prima. Siamo italiani, caro mio. Il nostro rigore è quello dagli undici metri. Calcio, una volta eravamo i migliori al mondo. mattias.mainiero@liberoquotidiano.it

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