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Cassazione: troppi "vaffa"

Secondo i giudici di Piazza Cavour, sarebbe meglio rispondere con un "non infastidirmi"
di Tatiana Necchi domenica 5 settembre 2010

2' di lettura

Troppe parolacce e troppi “vaffa” scambiati tra le persone. E così interviene la Cassazione che, oltre alla multe, elargisce anche consigli: «se dovete reagire a un torto ricevuto anziché mandare a quel paese ditegli “non infastidirmi"» . Dunque, prendendo spunto dall’ultimo caso di ingiuria a Civitavecchia, per stilare un “ingiuriometro” cioè una sorta di misuratore dell’offesa: in certe situazioni, come spesso accade anche in politica, è difficile mantenere la calma ed eliminare i toni accesi o le espressioni pesanti. Specie se ci si trova in un contesto di polemica. Ma vista la quantità di parolacce che si scambiano le persone, ai fini di accertare se sia leso o no il bene protetto dall’art. 594 del codice penale, si deve guardare alla personalità dell’offeso e dell’offensore oltre al momento in cui la frase viene pronunciata. La questione nasce da un ricorso portato in Cassazione da Angelo C., un 50enne di Civitavecchia, che dopo una lite con Giancarlo A., lo aveva liquidato con un "vaffa”. L’uomo era stato multato dal Tribunale di Civitavecchia nel marzo del 2009 ma Angelo ha fatto ricorso in Cassazione facendo notare come il vocabolo, “ormai di uso comune ha perso la sua efficacia offensiva”, pur restando un’espressione molto maleducata. La Quinta sezione penale, sentenza 30956, ha bocciato la linea difensiva: nelle motivazioni gli “ermellini” hanno fatto presente che le parolacce assumono una valenza più o meno offensiva a seconda del contesto in cui ci si trova. «Se vengono pronunciate nei confronti di un insegnante che fa una osservazione o di un vigile che dà una multa - hanno rilevato - assumono carattere di spregio». Più tolleranza se il turpiloquio avviene in un contesto "ioci causa" o tra soggetti in posizione di parità, insomma «in situazioni che non richiedono manifestazione di specifico rispetto». Applicando l'ingiuriometro al caso in questione, la Cassazione ha ritenuto che l'ingiuria pronunciata da Angelo C. costuisce una ingiuria a tutti gli effetti tale da "attaccare e offendere l'onore e il decoro".

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