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l'Editoriale

di Maurizio Belpietro
di carlotta mariani sabato 16 ottobre 2010

3' di lettura

I giornalisti di solito si devono guardare dalle querele. E se non sono di sinistra se ne devono guardare due volte. Ma ora chi scrive sui giornali e non ha la patente di progressista deve usare una precauzione in più, ovvero misurare le parole. Soprattutto al telefono. Vietato scherzare, proibito dire una qualsiasi cosa significativa che domani possa essere ritorta contro: il pm ti sente. Sul fatto che le conversazioni fossero ascoltate non abbiamo mai avuto il minimo dubbio, almeno per ciò che ci riguarda. Però conservavamo ancora l’idea che gli spioni agissero con un minimo di rossore, senza aver il coraggio di dichiarare in pubblico che i telefoni di direttori e vicedirettori sono sotto controllo e le redazioni sono tenute d’occhio più delle cosche. Invece da oggi è chiaro che le Procure non si fanno più nessun problema a intercettare ogni sospiro provenga da un giornale, soprattutto se questo non è pregiudizialmente contro il governo. Fosse successo in altri tempi e con esecutivi di altro colore avremmo avuto le piazze piene e la mobilitazione di tutti. Ma trattandosi di giornalisti di centrodestra, manca poco che la sinistra si metta ad applaudire e a lei si uniscano anche i poteri forti, i quali - in questa faccenda - si capisce da che parte stanno. Certo non da quella della libertà di stampa. Non sarà sfuggito che la presunta vittima della faccenda che ha coinvolto il Giornale, Emma Marcegaglia, proprio in nome del concetto di un’informazione indipendente, appena ha notizia che il quotidiano di via Negri sta preparando un’inchiesta su di lei, che fa? Telefona a colui che ritiene poter agire sull’editore, ovvero il consigliere di amministrazione del Giornale, Fedele Confalonieri. In pratica, chiede di mettere il bavaglio ai cronisti. Se il presidente di Confindustria avesse osato fare pressioni sulla Repubblica per tramite di Carlo De Benedetti, ve lo immaginate che cagnara sarebbe scoppiata? Dichiarazioni di solidarietà con la redazione e manifestazioni pubbliche sarebbero fioccate come la neve d’inverno ed Emma avrebbe dovuto scusarsi. Invece qui no. Le scuse sono pretese dai giornalisti, i quali se anche avessero deciso di fare il mazzo alla presidente dell’organizzazione degli imprenditori di che cosa dovrebbero vergognarsi? Di voler approfondire i fatti della signora? E allora? Lo fanno perché la Marcegaglia sta loro antipatica oppure perché ritengono che abbia sbagliato a criticare il governo? E con ciò? Perché non dovrebbero poterlo fare? Basta che non raccontino fandonie e non la diffamino e hanno tutto il diritto di scrivere ciò che vogliono sulla presidentessa. O così almeno dovrebbe essere, in un Paese normale, dove la libertà di stampa non è vigilata o controllata. Ma questo non è un Paese normale.  Altrimenti i pm,  anziché allarmarsi per gli sms di Nicola Porro, rizzerebbero le orecchie e anche i capelli alle parole del consigliere della Marcegaglia, il quale svela che dietro Fini, la D’Addario e tutto ciò che si è agitato nell’ultimo anno per far cadere Berlusconi, c’è la mano di qualcuno. Arpisella non fa i nomi, ma si capisce che è un gruppo potente, gente che non scherza e ha interessi solidi. Ecco, piuttosto che le balle sulle presunte pressioni alla presidente degli industriali, dalle procure vorremmo sapere chi trama nell’ombra contro un governo legittimamente eletto. Ma temo che se aspettassimo i procuratori non lo sapremmo mai. Dunque tocca rimboccarci le maniche, sperando che i pm non ci ascoltino e ci incriminino per eccesso di curiosità.

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