«La rateizzazione lunga delle cartelle esattoriali, conosciuta come Rottamazione quinques, è finalmente entrata nella legge di bilancio. Si tratta di un provvedimento di grande importanza sociale che offre una concreta opportunità a milioni di cittadini che, pur avendo dichiarato le imposte, non sono riusciti a pagarle. La misura prevede una rateizzazione fino a nove anni con rate di importo uguale e la fine del meccanismo di decadenza in caso di mancato pagamento di una sola rata. Stiamo inoltre lavorando, attraverso la manovra e gli emendamenti, per ampliare la platea dei beneficiari. Già oggi la misura riguarda un numero molto ampio di contribuenti: tutti coloro che hanno ricevuto cartelle esattoriali fino al 31 dicembre 2023, secondo quanto previsto dal progetto di legge della Lega, a mia prima firma, depositato alla Camera e al Senato. La Rottamazione consente di sanare il passato e, allo stesso tempo, di pagare le imposte correnti, contribuendo così ad aumentare il gettito fiscale dell’anno in corso. In questo modo sarà possibile ridurre la pressione fiscale ulteriormente, che in Italia resta ancora troppo alta, alleggerendo il peso su famiglie e imprese».
Lo ha annunciato Alberto Gusmeroli (Lega), presidente della Commissione Attività produttive a Montecitorio, nel corso del Cnpr forum “Semplificazione, competitività e sostenibilità fiscale: a che punto siamo?”, promosso dalla Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili, presieduta da Luigi Pagliuca.
Scettico Antonio Misiani (Partito Democratico), vicepresidente della Commissione Bilancio a Palazzo Madama: «Siamo molto lontani da quella riforma definita “epocale” dal viceministro Leo. La pressione fiscale, che nel 2022 all’insediamento del governo Meloni era al 41,7% del PIL, nel 2025 è salita al 42,8% e resterà così anche nel 2026. Oggi famiglie e imprese sopportano un carico fiscale più alto di tre anni fa, nonostante i tentativi di riduzione delle tasse. Anche la legge di Bilancio è deludente: prevede solo un mini-taglio dell’Irpef di due punti sul secondo scaglione, con un impatto di circa 3 miliardi di euro per 13,6 milioni di contribuenti. Un taglio inferiore al gettito aggiuntivo che lo Stato incassa ogni anno per effetto del fiscal drag. In sostanza, lo Stato con una mano dà e con l’altra si riprende di più. Questo frena la crescita economica, ferma intorno allo 0,5%, troppo bassa per garantire sviluppo e tenuta dei conti pubblici. Servono politiche più incisive, anche con un programma stabile di incentivi agli investimenti in tecnologie innovative. Il governo ha reintrodotto super e iper-ammortamento, ma con soli 4 miliardi di euro disponibili, mentre servirebbero molte più risorse per un piano almeno triennale».
Secondo Giorgio Lovecchio, parlamentare di Forza Italia della Commissione Finanze alla Camera: «La riforma del fisco era uno degli impegni assunti con il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, rappresenta un pilastro della modernizzazione del Paese. Abbiamo tracciato una prima struttura con la legge delega e con i decreti attuativi su Irpef, contenzioso e rapporto tra contribuenti e Pubblica Amministrazione. La nuova legge di bilancio va nella stessa direzione, alleggerendo il carico fiscale su lavoro e ceto medio e riducendo le aliquote sui redditi medio-bassi come misura di equità. Restano da completare i capitoli su semplificazione e riscossione, decisivi per rendere il sistema più efficiente. Siamo in linea con gli obiettivi europei di un fisco più leggero, senza nuove tasse e con un rafforzato contrasto all’evasione. Ma è altrettanto necessario sostenere le imprese italiane, oggi alle prese con costi elevati e un quadro normativo instabile. Non servono bonus, ma certezze e stabilità: un’Ires premiale per chi assume o investe, il rafforzamento dei crediti d’imposta per la Transizione 4.0 e dei contratti di sviluppo possono davvero mettere le imprese italiane nelle condizioni di competere e crescere».
Punta il dito sulla mancata riduzione della pressione fiscale Alessandro Caramiello, deputato del M5s nella Commissione Parlamentare per l’Attuazione del Federalismo fiscale: «Le previsioni del Governo indicano per il 2025 un livello di pressione fiscale pari al 42,8% del PIL con una stabilizzazione nel 2026, una lieve risalita nel 2027 e una successiva riduzione nel 2028. Bisogna fare un passo indietro e guardare al 2023, anno in cui la pressione fiscale ha registrato una tendenza al rialzo che, purtroppo, oggi non è semplice arginare. È importante ricordare che, nel linguaggio economico, una pressione fiscale così elevata significa che una parte significativa della ricchezza prodotta dal Paese confluisce nelle casse dello Stato. In questo contesto, la domanda centrale è se stiamo realmente compiendo progressi verso una tassazione più leggera per famiglie e imprese, oppure se ci troviamo di fronte a una lettura dei conti pubblici che, pur presentando dati formalmente positivi, non si traduce in un’effettiva riduzione del carico fiscale per chi vive quotidianamente con redditi medi o modesti. La dinamica, infine, è ulteriormente complicata dagli effetti del cosiddetto “drenaggio fiscale”, che erode il potere d’acquisto dei contribuenti e vanifica in parte gli interventi di alleggerimento tributario annunciati».
Nel corso del dibattito moderato da Anna Maria Belforte, il punto di vista dei professionisti è stato espresso da Mario Chiappuella, commercialista e revisore legale dell’Odcec di Massa Carrara: “Si è fatto nel corso degli anni un abuso del termine ‘semplificazione’ senza che si sia mai tradotto in atti concreti. Noi commercialisti continuiamo nel dialogo con il governo di turno ma aspettiamo segnali concreti nell’interesse di cittadini, imprese e di noi ‘professionisti. Se vogliamo garantire competitività alle nostre imprese bisogna intervenire urgentemente sul piano fiscale assicurando loro anche una certa stabilità e continuità delle misure, consentendo così la programmazione degli investimenti e l’innovazione dei processi”. Le conclusioni sono state affidate a Paolo Longoni, consigliere dell’Istituto nazionale Esperti contabili: «L’Italia non sta raggiungendo gli obiettivi di riduzione della pressione fiscale né di equità, con una tassazione sproporzionata tra redditi bassi, medi e alti e differenze legate alle flat tax. Pur riconoscendo alcuni progressi nel contrasto all’evasione, occorre evidenziare che i controlli si concentrano sui contribuenti noti, mentre restano esclusi molti evasori totali. La vera criticità è che pochi pagano troppo. Non è il sistema tributario in sé a essere complesso, ma il regime degli adempimenti, che andrebbe semplificato per rendere il fisco più giusto ed efficiente».