Deridere qualcuno per il suo aspetto fisico, l'umiliazione, la critica legata ai canoni estetici della società in cui viviamo. Un clima d'odio spesso incitato sui social, che colpisce le vittime con offese che si amplificano a causa del web. Il programma Psiche Criminale, in onda sul canale 122 Fatti di Nera, ha approfondito uno dei crimini digitali del momento: il body shaming.
Le offese contro chi ha qualche chilo di troppo affondano le radici nel cyberbullismo, ma non hanno una fascia d'età ben definita, anche se la fase adolescenziale è attraversata con maggiore frequenza da questo fenomeno. Tutto è collegato a una percezione dell'immagine corporea che si intreccia con la pressione sociale e che si trova ad affrontare, nella quotidianità, una costante idea di imperfezione che si ricerca negli altri per poterli colpire. A nulla servono, finora, le campagne di sensibilizzazione e le manifestazioni culturali proposte in questo senso. Prendendo riferimento dai dati emersi da una ricerca, è stato somministrato un questionario a 3.736 studenti del primo biennio delle scuole secondarie di secondo grado, che ha permesso di elaborare un indice di propensione al body shaming, più alto tra gli studenti degli istituti tecnici e professionali rispetto, invece, a quelli del liceo.
“Il body shaming è nato durante la deportazione degli schiavi – ha spiegato lo psicoterapeuta Giuliano Ferrari – perché alcuni avevano difficoltà a gestire gli impulsi. Di qui, questa offesa si è trasferita a chi è particolarmente sovrappeso, che avrebbe istinti più animaleschi: si pensa che chi è grasso non riesca a contenersi, dunque non sia ritenuto affidabile. Una serie di concezioni che portano a vedere una persona grassa come una persona che ha difficoltà nella gestione di se stessa. Si aprono diversi scenari, se si pensa solo al fatto che si tratta di una componente occidentale che ha portato a diffondere i disturbi comportamentali dell’alimentazione in giro per il mondo.”
Secondo il dietista, nutrizionista e content creator Alessio Di Gennaro, oggi “divulgare e fare comunicazione sui social mette sulla pubblica piazza, che è un’agorà molto calda. E tutti possono ricevere insulti e comportamenti legati al body shaming, non necessariamente chi è in sovrappeso.”
“Secondo Papa Francesco – ha sottolineato l’avvocato Luca Volpe – il chiacchiericcio è l’anteprima di quel clima di odio che porta all’odio sociale e addirittura alle guerre. Siamo tutti responsabili dell’odio che mettiamo in giro, dobbiamo impegnarci di più. Le democrazie sono delle piante di cui tutti dovrebbero curarsi, togliendo le foglie secche, dando l’acqua, curando il terreno. Ognuno ha un ruolo fondamentale; invece, oggi mettiamo noi stessi al centro, in un individualismo libertario con l’unica regola “ci sono io e basta”, non pensando alle conseguenze. Il fenomeno dell’odio in rete è trasversale, sia tra le vittime che tra i carnefici. Tra questi ci sono anche persone che hanno una vita piena, soddisfacente, un lavoro, una famiglia, perché il virus dell’odio si diffonde sempre di più, soprattutto in una società dell’immagine, che punta non a essere ma ad apparire. Come dice la Costituzione, noi non dovremmo giudicare nessuno in generale: siamo tutti uguali davanti alla Legge perché siamo tutti differenti. La politica sembra parlare solo di denaro, di economia, come se tutto avesse un valore economico. Se noi parlassimo di abilità, di mandare la nostra mente in palestra per rinforzare la nostra autostima, finirebbe l’odio perché non attecchirebbe da nessuna parte. C’è da dire che prima accadeva la stessa cosa, ma non c’era l’amplificazione dei social. Quei quattro frustrati che prima scomparivano, adesso se vogliono possono metterti alla berlina in una piazza virtuale. Quando accadeva prima, tutto era circoscritto al massimo a un paese o al quartiere in cui si viveva; ora, potenzialmente, la platea è mondiale.”
“I giovani sono il futuro – ha commentato il professor Francesco Pira, docente all’Università di Messina – ma è molto preoccupante che non si educhi ai sentimenti e alla sessualità. Quando un ragazzo tenta di sedare una rissa e arriva un colpo di pistola, oppure quando la figlia di un assassino, in un video, va in giro con una collanina con una pistola ed ha tante visualizzazioni... Invece dovremmo educare all’amore e al rispetto, e abbiamo bisogno anche di sentirci sicuri. L’idea di mettere in vetrina tutto ciò che facciamo ci fa trasformare, ci crea una situazione di difficoltà. I social creano una situazione di disagio, ma si parte dall’offesa, una sorta di bombardamento a cui non si riesce più a reagire. Non dimentichiamoci della fragilità, che nasce in particolare dopo la pandemia e colpisce soprattutto le nuove generazioni.”
Per William Nonnis, esperto blockchain e analista tecnico del Consiglio dei Ministri, si tratta di “un problema strutturale, amplificato dai social. Ad esempio, manifestare è un diritto, nei termini stabiliti dalle leggi e nel rispetto reciproco e civico. Invece i social hanno solo amplificato, e Telegram è lo strumento più utilizzato in questi casi. Il ministro Piantedosi tiene sott’occhio Telegram, perché è lo strumento più utilizzato per l’organizzazione di queste manifestazioni.”
Entrare sui social, come ha spiegato la psicologa Ilaria La Mura, è “come se si venisse catapultati sul palcoscenico, ma non conosciamo e non possiamo controllare quel pubblico. Diventa complicato poter gestire questa amplificazione: è un problema. La società dovrebbe essere incanalata nella gestione dei disagi e delle emozioni, altrimenti troviamo queste persone che si riversano contro chi sale su quel palcoscenico.”
Per la criminologa Maria De Tata, “le ragazze che subiscono body shaming hanno una grandissima probabilità di soffrire di bulimia e anoressia: quegli insulti hanno forti ripercussioni sulle ragazze e sui ragazzi. Purtroppo, i leoni da tastiera, che molto spesso sono persone che non hanno niente da fare, si divertono a fare del male e si scagliano verso chi pubblicamente si mostra. Bisogna spiegare, soprattutto ai più giovani, che anche dietro uno schermo c’è una persona.”