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Turismo culturale, l’Italia riscopre le sue radici (e guarda anche all’Egitto)

mercoledì 3 dicembre 2025

4' di lettura

Negli ultimi anni il turismo culturale è tornato al centro della scena italiana. Dopo il trauma della pandemia, l’immagine dei centri storici svuotati è diventata un ricordo sempre più lontano, sostituita da città d’arte affollate, musei pieni, borghi che rinascono grazie a visitatori in cerca non solo di belle foto, ma di identità, storia, senso di appartenenza. L’Italia, quando decide di crederci davvero, dimostra di avere ancora una volta la carta vincente: un patrimonio culturale unico al mondo, intreccio di Roma antica, Medioevo, Rinascimento, tradizioni locali e fede.

Roma, Firenze, Venezia, Napoli, ma anche le aree archeologiche “meno celebri” stanno vivendo un nuovo interesse. I turisti stranieri continuano ad arrivare, attratti dalla forza del nostro passato, ma cresce anche il turismo interno: famiglie italiane che scelgono di visitare un parco archeologico invece di un centro commerciale, oppure un museo restaurato al posto dell’ennesimo viaggio low cost senza identità. È un segnale importante: significa che la nostra storia non è solo un’attrazione per altri, ma torna a essere percepita come parte viva della comunità nazionale.

Allo stesso tempo, la tecnologia ha aiutato a rendere questi luoghi più accessibili: prenotazioni online, visite guidate digitali, realtà aumentata, percorsi multimediali. Ma il cuore resta sempre lo stesso: pietra, marmi, affreschi, rovine che raccontano secoli di civiltà. È questa combinazione di radici e innovazione che, se ben gestita, può fare del turismo culturale uno dei motori più solidi dell’economia italiana.

L’attrazione per le civiltà antiche

Dentro questa riscoperta del turismo culturale c’è un fenomeno interessante: l’attrazione costante per le grandi civiltà antiche. Roma e la sua eredità sono naturalmente centrali per il nostro Paese, ma l’interesse del pubblico va ben oltre il Colosseo o Pompei. Le mostre sull’Antico Egitto, le collezioni permanenti con mummie e geroglifici, le esposizioni su greci e fenici registrano spesso numeri importanti. È la prova che, in un mondo globalizzato e confuso, le persone tornano a cercare punti fermi nella storia di chi ci ha preceduto.

L’Egitto, in particolare, esercita un fascino quasi magnetico. Il mito dei faraoni, le piramidi, i rituali, i misteri irrisolti: tutto contribuisce a costruire un immaginario potentissimo. Non è un caso se l’Italia, con musei come il Museo Egizio di Torino, è uno dei punti di riferimento mondiali per lo studio e la valorizzazione di quella civiltà. È una forma di soft power culturale che andrebbe difesa e sviluppata, perché porta prestigio internazionale, ricerca di alto livello e un indotto turistico di primo piano.

Questa passione per l’Antico Egitto non si ferma ai musei. È entrata a pieno titolo nella cultura pop: film, serie TV, romanzi, merchandising, videogiochi. Perfino il mondo dell’intrattenimento digitale ha costruito saghe di successo partendo da simboli, divinità e atmosfere egizie. Basti pensare alla popolarità di titoli come Book of Ra, che dimostra quanto l’immaginario dei templi, dei papiri e dei tesori nascosti continui a parlare alla fantasia del pubblico contemporaneo. È la prova che il passato, quando è raccontato con intelligenza, non è mai davvero passato.

Un’occasione da non sprecare per identità ed economia

Per l’Italia, tutto questo rappresenta molto più di una semplice moda culturale. È una vera occasione strategica. Il turismo culturale non è delocalizzabile: nessuno può spostare il Foro Romano in un altro Paese, né replicare davvero la stratificazione secolare di una città come Palermo o Ravenna. Allo stesso tempo, il confronto con altre grandi civiltà – come appunto quella egizia – permette di costruire percorsi tematici, mostre congiunte, scambi tra istituzioni, gemellaggi tra musei, itinerari che uniscono più Paesi del Mediterraneo.

È in questo dialogo tra radici italiane e grandi civiltà antiche che il nostro Paese può ritagliarsi un ruolo forte, non solo culturale ma anche economico e geopolitico. Un’Italia che investe su musei, teatri, aree archeologiche, borghi storici e percorsi tematici è un’Italia che difende la propria identità, valorizza la propria storia e genera lavoro: guide, restauratori, archeologi, operatori turistici, artigiani, ristoratori, strutture ricettive.

Certo, non mancano i problemi: burocrazia pesante, risorse talvolta insufficienti, siti ancora poco valorizzati o difficili da raggiungere. Ma insistere soltanto sul negativo non rende giustizia a ciò che sta cambiando. Dove si investe con serietà, i risultati arrivano. I numeri delle presenze nelle città d’arte e nei grandi poli culturali lo dimostrano. E testimoniano che il mondo è pronto a venire in Italia non solo per il mare o la cucina, ma anche per entrare in un museo, camminare su una via antica, scoprire collegamenti tra Roma, Atene, Gerusalemme, Alessandria, Il Cairo.

In un’epoca di identità fragili e narrazioni globali indistinte, puntare su turismo culturale e civiltà antiche significa fare una scelta chiara: credere che la storia non sia un peso, ma un capitale. Un capitale che l’Italia, se vuole, può far fruttare meglio di chiunque altro.

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