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Giuseppe Conte "condannato" dal tribunale di Pisa: ci ha rubato la libertà ed era fuorilegge. Dpcm, i diritti negati

di Iuri Maria Prado mercoledì 30 giugno 2021

2' di lettura

Non sappiamo se abbia ragione il tribunale di Pisa, che con una recente sentenza ha ritenuto illegittima sia la dichiarazione dello stato di emergenza fatta dal governo grillin-progressista presieduto da Giuseppe Conte sia tutti i Dpcm gemmati da quella decretazione: ma se la decisione del giudice toscano fosse corretta vorrebbe dire che quel presidente del Consiglio si è reso responsabile non solo della più grave e vasta limitazione dei diritti dei cittadini da che esiste la Repubblica, bensì anche di averla perpetrata in violazione di legge. La sentenza pisana interveniva sul caso di due persone imputate, tra l'altro, di aver violato le disposizioni del capo del Governo sulla circolazione nel territorio durante il periodo delle restrizioni anti -Covid, e il giudice infine assolveva quei due dopo aver accertato che le sanzioni e i divieti che per mesi e mesi hanno afflitto la vita degli italiani erano in realtà disposti contro la legge. Quella selva di prescrizioni illegali, infatti, infieriva su diritti fondamentali, a cominciare da quello di libera circolazione e di libertà personale, che mai e poi mai avrebbero potuto essere violentati con gli atterelli personali del presidente del Consiglio.

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In faccia a un'opinione pubblica sequestrata, nell'insulto a un parlamento che assisteva inerte alla propria destituzione, nel corso delle cospirazioni per mantenere secretati i verbali del Comitato Tecnico Scientifico, e mentre pressoché tutta la stampa non solo lo lasciava fare, ma addirittura lo istigava a reiterare secondo quelle modalità illegali il celebrato modello repressivo, perché «prima viene la salute», quel governo distruggeva le libertà elementari dei cittadini e si abbandonava all'oscenità di un discorso pubblico intimidatorio e paternalistico, «consentiamo» questo e «non consentiamo» quest' altro e «alla fine saremo tutti migliori», col supercommisario dalla querela facile officiato a mazziere del capo e il ministro della Delazione in ritirata editoriale e in avanzata da capo caseggiato, a illustrare i doveri degli inquilini di denunciare i dirimpettai che avevano a cena l'ospite di troppo.

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Che un personaggio come quello che ha comandato un simile scempio sia ora indaffarato a riorganizzare i ranghi di mentecatti spediti al potere dalle piazze del vaffanculo, e che per questo suo lavorìo riceva persino attenzioni da statista, sono scene cui non avremmo assistito se chi di dovere, quand'era tempo, l'avesse preso per l'orecchio e spedito dove meritava. Perché è questo che fa davvero rabbia: non che lui abbia fatto al Paese tutto quel male, ma che gliel'abbiano permesso. Vedremo se a rimettere a posto le cose ci saranno altre sentenze. Anche fosse una soltanto per ciascuno dei Dpcm con cui ci hanno molestato, sarebbe tanta roba.

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Questa, in ogni caso, è una bellissima cartolina del Pd romano. Nella Capitale si diceva: "Non solo Cesare deve essere immacolato, anche sua moglie". In questo caso la moglie è Ruberti e Cesare è il sindaco Gualtieri, che rischia di perdere credibilità. Due cose: non è che con le dimissioni di Ruberti può tornare tutto come prima, perché c'è un pentolone da scoperchiare. Seconda cosa: qui si prova la nobiltà della magistratura. Sarebbe bello che l'ex capo di gabinetto venisse trattato dai magistrati, e da certa stampa, così come vengono solitamente trattati i politici di centrodestra. Il video-commento del direttore di Libero Pietro Senaldi.