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Investe il figlio, inutile processarla: l'ergastolo di una madre

A volte la giustizia umana è ingiusta, anche quando è formalmente corretta. E così, per correggerne l’inevitabile imperfezione, occorre a volte introdurre una ingiustizia, una “discrezione”
di Elisa Calessi sabato 21 giugno 2025

3' di lettura

La giustizia umana è imperfetta. A volte persino ingiusta, anche quando è formalmente corretta. E così, per correggerne l’inevitabile imperfezione, occorre a volte introdurre una ingiustizia, una “discrezione”. O arrendersi, riconoscendo che il diritto, di fronte alla vita, è “storto”. E’ questo il paradosso - umanamente e giuridicamente drammatico - di fronte a cui si è trovata, in questi mesi, la procura di Milano. Il fatto è questo: una mamma di 38 anni, che vive nell’hinterland milanese, il 4 luglio dello scorso anno per sbaglio investe con l'auto il proprio figlio di 18 mesi nel cortile di casa, causandogli lesioni gravissime. Il figlio sopravvive, ma con danni a vita. Il pm Paolo Storari ha chiesto al Gip di non punire la madre, quindi di non iniziare nemmeno il procedimento, perché "il processo e l'eventuale condanna costituirebbe una sorta di trattamento contrario al senso di umanità".

La motivazione portata dalla procura, nelle cinque pagine della richiesta, è che la madre "sconta già una sorta di ergastolo con fine pena mai e un'eventuale condanna statale non avrebbe alcuna funzione né per l'imputata, né per la collettività", "anzi appare addirittura controproducente". Si potrebbe proporre alla madre di patteggiare una pena minima, ma “non terrebbe conto della situazione che si trova a vivere l'indagata”. In sostanza, sottoporre la donna a una condanna o a un processo "renderebbe l'ulteriore sanzione non solo sproporzionata per eccesso, ma persino inumana". Dunque contraria all’articolo 27 della Costituzione. Il pm Storari si appella a un concetto, quello di “pena naturale”, di recente introdotto nel dibattito giuridico, ossia l’idea che in alcuni casi il reato porta con sé una pena naturale che precede quella che lo Stato può infliggere.

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E non c’è dubbio che quella di una madre che, accidentalmente, provoca danni irreparabili al figlio rientra in questa casistica. E’ una argomentazione delicata, perché significa affidare al giudice una grande discrezionalità. Quando siamo di fronte a una pena naturale? Essere familiari (o non esserlo) è condizione necessaria per patirla? Si può essere madri insensibili o estranei sensibili. Come si fa? Il cuore di questa vicenda, però, è un altro. Ed è la ragione per cui, secondo me, la procura di Milano ha fatto bene. Il pm ha segnalato il limite della giustizia umana di fronte alla vita. Il dolore di una madre, che ha provocato un danno irreparabile al figlio, non solo supera ogni pena che lo Stato può infliggere, ma è incompatibile con un processo. Lo rende ridicolo, dannoso o superfluo. Tu, che gli hai dato la vita, diventi - involontariamente - il suo boia. Cosa potrebbe dire l’accusa? E cosa la difesa?

L’abisso, umanamente indicibile, a cui è condannata questa madre pone, dunque, una domanda drammatica, ma molto vera: qual è il confine tra la legge e la natura? Che senso ha la pena e soprattutto qual è il criterio con cui si infligge? E ancora: c’è un mistero di fronte a cui la pena si sgretola o addirittura si trasforma, ottenendo un obiettivo contrario a quello prefissato? Basta la norma? O non è, forse, necessaria, la contraddizione che solo un uomo puà portare? Il merito della procura milanese è di aver sollevato questo problema. Anche a costo di creare un precedente che potrebbe essere usato male. Ma ne vale la pena, perché ha dato precedenza a un dolore, quello materno, che nessuna pena può socialmente risarcire o rieducare (che sono gli obiettivi della pena).

E’ come se la Giustizia avesse alzato le mani di fronte alla vita, ricordando che il codice non basta. C’è un mistero, nelle nostre esistenze, di fronte a cui è bene che anche i tribunali si fermino e ammettano la propria impotenza, chiudendo il codice. Ecco, questa impotenza, che attraversa le cinque pagine di questa richiesta, è un fatto positivo. Di fronte a quella madre, c’è solo una pena giusta: il silenzio.

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