CATEGORIE

Legrottaglie, l'ex colonnello Jannone: "Pregiudizio dei pm contro gli agenti"

di Pietro Senaldi martedì 17 giugno 2025

4' di lettura

Angelo Jannone è un ex colonnello dell’Arma. Quando era un giovanissimo capitano ha comandato la compagnia di Corleone, avviando con Giovanni Falcone le indagini che hanno permesso di svelare il patrimonio personale di Totò Riina e segnare i primi passi che avrebbero poi portato alla sua cattura.
«Ho avuto tre conflitti a fuoco in servizio. L’ultimo con due feriti, uno grave. Ho sparato ad uno dei rapinatori. Aveva vent’anni e da allora vive in sedia a rotelle.
Comandavo il Nucleo Investigativo della provincia di Venezia a Mestre. A quei tempi il Pubblico Ministero del caso era Felice Casson. Sì, quello delle inchieste su Gladio, l’eversione nell’estrema destra, i servizi segreti deviati, la tangentopoli veneta».

Un osso duro, colonnello. Per di più con delle idee politiche nette, visto che poi si candidò sindaco a Venezia sostenuto dal centrosinistra e divenne senatore del Pd prima e di Articolo 1 poi...
«Non era tenero sicuramente. Eppure non ha mai pensato di indagare né me né i carabinieri che erano con me. E non per un trattamento di favore. Parliamo di vent’anni fa. A quei tempi a nessun pm sarebbe passato neppure per l’anticamera del cervello di aprire un’inchiesta su un agente che aveva risposto al fuoco».

Che cosa è cambiato da allora?
«Un tempo c’era una naturale solidarietà tra pm e forze dell’ordine. Oggi, da parte di molti pubblici ministeri si avverte un approccio pregiudizievole verso le uniformi. La sensazione è che subiscano un condizionamento da forze politiche altrettanto prevenute. Basta vedere quel che è successo dopo la morte di Ramy Elgaml, a Milano. Da parte degli esponenti della sinistra non c’è stata alcuna solidarietà verso i carabinieri; anzi, in molti li hanno accusati prima ancora di sapere come si fossero svolti i fatti. Il risultato? Oggi gli agenti non si fidano più dei magistrati e i magistrati non si fidano degli agenti».

Riflessioni con Angelo Jannone all’indomani dei funerali del brigadiere Carlo Legrottaglie, assassinato da un rapinatore nel suo ultimo giorno di servizio, e della notizia che i poliziotti che hanno ucciso, poco dopo, il suo killer, sono stati iscritti nel registro degli indagati per omicidio colposo. Un atto dovuto, spiegano i magistrati. Il colonnello ha lasciato l’Arma vent’anni fa, ha l’esperienza e la giusta distanza per valutare e dire la sua. Pluridecorato, ha lavorato anche come infiltrato in un’organizzazione di narcotraffico colombiana, le ‘ndrine della Locride avevano messo una taglia su di lui, ha redatto il primo rapporto sui legami tra economia, finanza e criminalità in Italia. Non parla spesso, ma sa quello che dice.
«Da alcuni anni», spiega, «è prassi iscrivere nel registro degli indagati gli agenti che si sono esposti in azione rischiando la propria vita nello svolgere il proprio dovere...».

È un atto dovuto per garantire il diritto di difesa degli interessati nello svolgimento dei cosiddetti atti irripetibili mentre si accerta la dinamica dei fatti...
«Questa è la spiegazione tecnico giuridica di fronte alla quale sembra potersi spegnere ogni obiezione. Ma in realtà non è così e la mia storia lo dimostra. Se tu vuoi tutelare davvero un agente, non lo indaghi. La storia che lo indaghi perché possa difendersi non regge. Anche perché, se procedi contro di lui, ne delegittimi l’operato».

Però lo Stato deve accertare la verità quando ci sono delle vittime, colonnello. O no?
«Pensi al caso del maresciallo Marcello Masini, che a Rimini la notte di Capodanno ha ucciso un extracomunitario che lo stava aggredendo con un coltello dopo avere già colpito altre quattro persone. C’erano testimoni, la ricostruzione dei carabinieri eppure è stato indagato. E le norme del codice sono chiare».

Come lo spiega?
«Una sorta di diffidenza culturale nei confronti delle uniformi. Oltre a una vicinanza, che definirei quasi ideologica, nei confronti delle nuove forme di criminalità che assediano le nostre città e minano la nostra sicurezza».

Ci va giù pesante, ne è davvero convinto?
«È una mia impressione condivisa da molti ex colleghi, demotivati anche dal buonismo di molti magistrati nei confronti di criminali. Ma per esperienza le dico che in uno scontro a fuoco ti salvi solo se non hai tentennamenti. Fermarsi una frazione di secondo a valutare che cosa ti succede se spari può essere fatale. Non credo di essere lontano dalla realtà nell’affermare che possa averlo pensato anche il povero brigadiere Legrottaglie. Se avesse sparato per primo non c’è dubbio che oggi si sarebbe ritrovato a fare i conti con un procedimento penale, con enormi conseguenze economiche e psicologiche».

Ma probabilmente sarebbe vivo...
«Come lo sono i due poliziotti intervenuti poi uccidendo il killer del loro collega. Se avessero tentennato, forse oggi piangeremmo anche loro».

Un noto avvocato penalista ci ha spiegato che in termini giuridici l’iscrizione nel registro degli indagati non è un atto dovuto ma vi si dovrebbe procedere solo se esistono elementi importanti da verificare a carico delle divise. Un altro ci ha detto che il clima da inquisizione che si è creato negli ultimi anni, anche all’interno delle toghe, ha provocato un terrore generale nei magistrati, che procedono automaticamente per evitare che un domani un collega non indaghi loro per omissione d’indagine. Lei che soluzioni avrebbe?
«Il decreto sicurezza stanzia una somma per coprire le spese legali agli agenti costretti a sparare in servizio. Ma questo provvedimento è solo un punto di partenza. Poiché l’atto dovuto non è un obbligo di legge e non sta scritto da nessuna parte nei codici, bisognerebbe fare chiarezza nelle norme e prevedere che se un magistrato ritiene di dover eseguire un accertamento irripetibile in un caso di uso legittimo delle armi, questi possa assistere con un proprio consulente legale pagato dallo Stato, senza bisogno che sia indagato. Ad indagarlo si fa sempre in tempo se si accerta qualche responsabilità della divisa».

La sinistra in Parlamento farebbe le barricate...
«Se così fosse avrei ragione a dire che è una questione ideologica? E che forse queste iniziative hanno l’obiettivo non dichiarato di mettere in difficoltà il governo di centrodestra?».

tag
angelo jannone
carlo legrottaglie

Coscienza sporca Legrottaglie, il carabiniere morto e i colleghi indagati? Sinistra muta

L'intervista a Molteni Nicola Molteni, la promessa: "Come tuteleremo gli agenti che sparano ai criminali"

La solita storia Carabiniere ucciso, agenti indagati: "Atto dovuto", centrodestra indignato

Ti potrebbero interessare

Legrottaglie, il carabiniere morto e i colleghi indagati? Sinistra muta

Nicola Molteni, la promessa: "Come tuteleremo gli agenti che sparano ai criminali"

Massimo Sanvito

Carabiniere ucciso, agenti indagati: "Atto dovuto", centrodestra indignato

Carabiniere ucciso e agenti indagati: atto dovuto, una norma da cambiare

Alberto Busacca

Carabiniere ucciso e agenti indagati: atto dovuto, una norma da cambiare

È un «atto dovuto», certo, si dice sempre così. Un passaggio burocratico, d’accordo, nie...
Alberto Busacca

Caso Palamara, l'accusa di Carlo Nordio: "Molto è stato insabbiato"

"Ma crediamo veramente che il caso Palamara si debba ridurre alle dimissioni più o meno forzate di quattro c...

Occhiuto indagato? Toh, "Domani" sapeva già tutto

Vorremmo tanto sbagliarci, ma le carte non mentono e dicono che Roberto Occhiuto, governatore della Calabria, di Forza I...
Brunella Bolloli

Tempi lunghi e inefficienze: la giustizia è ancora malata

«Giustizia ed efficienza devono procedere di pari passo, il ministero è impegnato per assicurare una giusti...
Bruno Marrone