«La moglie di Cesare non deve solo essere onesta, ma deve anche sembrarlo». È il celebre criterio in base al quale Pompea fu ripudiata, diversamente da Calpurnia. Intendiamoci bene: non è che Giulio Cesare - come persona - avesse chissà quali prudenze, timidezze o ritrosie. I suoi costumi personali e anche sessuali erano largamente e felicemente liberi, come testimonia il celeberrimo motto ciceroniano su Cesare “marito di tutte le mogli” e pure “moglie di tutti i mariti”. Per non ricordare i cori anche pesantemente irridenti che i soldati romani gli indirizzavano quando lo portavano in trionfo. E lui stesso - notoriamente - se ne divertiva e accettava, in quel contesto, ogni tipo di scherzo e allusione.
Ma non divaghiamo sulle abitudini intime di quel grande condottiero. Ciò che conta, tornando a noi, è la virtù richiesta pubblicamente alla moglie di Cesare: virtù che doveva esserci, e che soprattutto doveva apparire evidente a tutti. Ecco, sostituendo il concetto di “virtù” con quello di “imparzialità”, come fa la magistratura italiana a dimenticare questo fondamentale criterio? Come fa- cioè- a trascurare il fatto che non basta che i magistrati si sentano al di sopra delle parti, ma occorre che i cittadini ne siano davvero convinti? E come fanno i media allineati alle procure (cioè quasi tutti) a rimuovere a loro volta questa nozione? Possibile che l’Anm, i suoi vertici e il relativo grande coro di accompagnamento sottovalutino questo elemento decisivo?
Non si tratta - qui - di fare processi alle intenzioni, e meno che mai di applicare - noi - criteri di sospetto generalizzato. Al contrario: dalle nostre parti, non solo per comodità argomentativa, presupponiamo sempre la buona fede e la correttezza di ogni interlocutore. Senza alcuna eccezione. Il punto - semmai - è fare i conti con la realtà e con il messaggio che arriva ai cittadini. Se oggi mezza Italia (quella di centrosinistra) spera o torna a sperare che sia la magistratura a far secco il governo sul caso Almasri, e se contemporaneamente l’altra mezza Italia (quella di centrodestra) teme quella stessa prospettiva, come si fa a non comprendere che la quasi totalità degli italiani dà (o tende a dare, o è indotta a dare) un’interpretazione tutta politica (e dunque non imparziale) di certe azioni della magistratura? Davvero qualcuno pensa che - con alle porte una riforma della giustizia tanto osteggiata dalle toghe, e con un referendum in calendario la prossima primavera - gli italiani possano scindere la loro idea sull’inchiesta sul caso Almasri dal giudizio che si stanno facendo sulla riforma costituzionale?
E soprattutto: se vedono- ipoteticamente - lo stesso rappresentante dell’Anm che la mattina attacca il governo su Almasri e il pomeriggio sulla separazione delle carriere (e sulla riforma anti-correnti nel Csm), quanti elettori potranno tenere separate le due cose? No: per una volta il problema non è della politica, ma proprio della magistratura. Nel cui seno - vogliamo esserne convinti - non possono mancare personalità sufficientemente lucide e avvedute per rendersi conto di ciò che è in gioco: la credibilità delle toghe davanti ai cittadini. Una credibilità mai così precaria.