Adesso che manca l’ultimo tassello, il quarto voto parlamentare (il Senato si pronuncerà entro novembre), si comprende meglio l’irritazione delle toghe. La riforma costituzionale targata Carlo Nordio, una volta superato lo scoglio del referendum confermativo (a questo punto inevitabile, visto il mancato raggiungimento della maggioranza dei due terzi in Aula), è destinata a rivoluzionare la vita dei magistrati. Abbattendo tre capisaldi finora considerati immutabili: la facoltà di saltare - seppure ora una sola volta entro dieci anni dalla prima assegnazione- tra la carriera inquirente e quella giudicante; l’unicità del Consiglio superiore della magistratura e le regole per la sua composizione; il potere disciplinare, che si appresta a passare dallo stesso Csm alla nuova Alta corte di 15 membri.
La riforma interviene sulla prima sezione del titolo IV della Costituzione, quella dedicata all’ordinamento giurisdizionale. L’aspetto più rilevante della modifica è la separazione delle carriere, che a cascata determina anche l’istituzione di due Csm: uno per i «magistrati della carriera giudicante», l’altro per quelli della «carriera requirente». Per coronare il sogno di indossare la toga, bisognerà scegliere a quale concorso partecipare. Va da sé che questo comporterà la nascita di due organi di autogoverno, che saranno entrambi presieduti dal presidente della Repubblica (come accade oggi per l’attuale Csm). Del Csm della magistratura giudicante farà parte di diritto il primo presidente della Corte di Cassazione; in quello della magistratura requirente siederà il procuratore generale del Palazzaccio. Ai due Consigli spetterà decidere su assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, valutazioni e conferimento di funzioni dei rispetti magistrati. Ma non - novità che preoccupa non poco le toghe - sui provvedimenti disciplinari. Che passeranno alla nuova Alta corte composta da 15 membri: 3 nominati dal Capo dello Stato; 3 estratti a sorte dal Parlamento (tra di loro sarà eletto il presidente); 6 estratti a sorte tra i magistrati giudicanti in possesso di specifici requisiti (vent’anni di attività e l’esperienza in Cassazione); 3 estratti a sorte tra i magistrati requirenti in possesso delle stesse caratteristiche.
Le dita negli occhi delle toghe più politicizzate non finite qui. I due nuovi Csm figli della separazione delle carriere, infatti, non saranno più elettivi, come accade ora dando soddisfazione alle varie correnti della magistratura associata, ma i suoi componenti (per un terzo laici e per due terzi togati) saranno individuati tramite sorteggio. Il blocco laico da un elenco di giuristi predisposto dal Parlamento in seduta comune, i togati scegliendo tra tutti i magistrati che abbiano requisiti che saranno stabiliti da un provvedimento successivo (le leggi attuative della riforma dovranno essere approvate entro un anno dalla sua entrata in vigore). Tutti i componenti dei Csm, in ogni caso, resteranno in carico per quattro anni e non potranno essere scelti una seconda volta.
L’Associazione nazionale magistratil’Anm, il “sindacato” delle toghe - si prepara alla battaglia referendaria, che potrebbe tenersi nella primavera del prossimo anno (senza l’ostacolo del quorum). «Prendiamo atto del terzo voto parlamentare e rinnoviamo il nostro impegno in vista del referendum, per informare tutti gli italiani sui pericoli del disegno di legge Nordio. E lo faremo a partire dall’assemblea nazionale del 25 ottobre a Roma». I toni della nota diffusa dalla Giunta esecutiva centrale sono apocalittici: la riforma «mette a rischio l’equilibrio fra poteri definito dalla nostra stessa Costituzio ne». Non la pensa così Francesco Greco, presidente Consiglio Nazionale Forense: «In tutte le democrazie europee più avanzate le carriere sono separate e non mi sembra né che la magistratura inquirente sia condizionata dall’esecutivo né che la giustizia funzioni male». Per Greco è «particolarmente preoccupante» il timore espresso dall’Anm «che il loro stesso corpo inquirente possa trasformarsi in una sorta di “super poliziotto”. Un grande cortocircuito».